La chiamiamo «Città Santa» e «Città della pace», ma a poche ore dall’inizio della settimana santa delle Chiese ortodosse, che seguono il calendario giuliano e celebrano Pasqua il 2 maggio prossimo, Gerusalemme sembra tutt’altro che in pace. Ormai da una decina giorni infatti, appena fuori dalla città vecchia (dove si trova il Santo Sepolcro, cuore delle celebrazioni pasquali) si verificano ogni notte scontri tra residenti e forze di polizia israeliane.
Tutto è iniziato il 13 aprile, primo giorno del mese di digiuno del Ramadan. Dopo la fine della preghiera serale, alcuni giovani palestinesi hanno protestato contro la chiusura della scalinata davanti alla Porta di Damasco, ingresso della città vecchia dall’importanza simbolica notevole per i locali, anche perché dà accesso diretto al quartiere musulmano. Durante le sere di Ramadan, dopo la rottura del digiuno quotidiano, i giovani erano soliti intrattenersi in quella piazza per incontrarsi, fumare narghilè o consumare dolci appena comprati nella città vecchia, addobbata a festa in questo tempo speciale. La polizia ha motivato l’installazione di barriere e la chiusura delle scale come necessaria per favorire il flusso delle centinaia di persone, che da lì transitano di sera anche per recarsi alla moschea di Al Aqsa. Alle proteste dei palestinesi, le forze israeliane hanno reagito con il pugno di ferro, con arresti e cariche.
Gli scontri notturni
Nei giorni successivi le tensioni sono continuate, arrivando a sfociare in aggressioni fisiche e verbali tra israeliani e palestinesi nei dintorni del centro città. Gli scontri maggiori erano attesi per giovedì 22 aprile, quando a seguito della diffusione su TikTok di video di attacchi a israeliani da parte di palestinesi, l’organizzazione di estrema destra Lehava aveva invitato i suoi sostenitori a riunirsi per «proteggere l’onore degli ebrei». Il quotidiano Haaretz riferisce che nel gruppo di Whatsapp creato per l’occasione i toni erano già fuori controllo: «Dobbiamo rompergli la faccia, seppellirli vivi», scrivevano gli estremisti. Come previsto, purtroppo gli scontri sono andati avanti fino a notte inoltrata intorno alla città vecchia tra Porta di Damasco, Porta Nuova e la piazza davanti al Municipio di Gerusalemme. Un gruppo di trecento ebrei che gridavano «Morte agli arabi!», si è scontrato con un altro di palestinesi, mentre la polizia cercava di tenere separati i due schieramenti. Fino a notte fonda hanno continuato a udirsi le granate stordenti usate dalla polizia per disperdere la folla, oltre ai gas lacrimogeni e ai cannoni ad acqua. Il bilancio è di almeno 105 palestinesi feriti, 22 dei quali ricoverati in ospedale, 20 agenti feriti e oltre 50 persone arrestate per aver scagliato pietre, lanciato fuochi d’artificio, aggredito poliziotti. I residenti sostengono che proteste palestinesi ampie come quelle degli ultimi giorni alla Porta di Damasco non si vedevano a Gerusalemme dal 2014.
Mentre queste scene di guerriglia urbana notturna hanno ricordato a qualcuno addirittura i tempi dell’intifada (la rivolta palestinese che si accese in due momenti distinti, negli anni Ottanta/Novanta e nei primi del Duemila – ndr), di giorno la vita sembra scorrere come sempre, in una sorta di schizofrenia che è tipica di Gerusalemme. Non rimangono che pochi oggetti abbandonati a dare testimonianza dei tumulti delle ore notturne, come una felpa sportiva accartocciata sull’asfalto, persa probabilmente durante la fuga dalla polizia.
I danni della pandemia
Alla luce del sole, Gerusalemme deve fare i conti con i danni lasciati dall’epidemia di coronavirus: i negozi chiusi, la gente senza lavoro, il turismo ancora fermo. Anche per quanto riguarda i pellegrinaggi, bisognerà aspettare almeno fino al 23 maggio, data della riapertura di Israele ai gruppi di turisti organizzati. Nonostante la campagna vaccinale di successo, che ha permesso di revocare le restrizioni, tanti negozi della città vecchia di Gerusalemme sulla via Dolorosa o nella via del quartiere cristiano rimangono chiusi.
Per il secondo anno consecutivo, quella alle porte sarà dunque un’altra Pasqua ortodossa senza pellegrini, a causa della pandemia. Per i negozianti locali sarà un duro colpo. «Non tengo aperto di certo per vendere, ma vengo qui per sedermi nel negozio ad aspettare. Nessuno sa quando le cose andranno meglio», spiega con le lacrime agli occhi un negoziante seduto tra croci e icone davanti al Santo Sepolcro. Se per chi possiede un’attività commerciale sarà ancora un anno di agonia, i fedeli locali, così come avvenuto per la Pasqua cattolica, avranno invece la gioia di poter partecipare alle celebrazioni liturgiche.
La Pasqua ritorna
L’evento più atteso della Settimana Santa sarà quello che è chiamato in arabo Sabt el nur, il «Sabato della luce», il giorno della cerimonia del Fuoco Santo. In tempi normali alla cerimonia partecipano ogni anno migliaia di persone provenienti da Russia, Grecia e altre nazioni ortodosse, che anche quest’anno potranno seguire la celebrazione solo in diretta streaming.
«Avremo come sempre tra le duemila e le tremila persone all’interno della chiesa, ma questa volta saranno solo persone che vivono nel Paese, perché ancora non è possibile entrare dall’estero», spiega il sacrestano greco-ortodosso del Santo Sepolcro. «Alle due di sabato prossimo inizierà il rito e sarà il momento più importante», continua padre Azariah, monaco copto che risiede nel Patriarcato Copto di Gerusalemme e che presta servizio all’altare dei copti nella Basilica del Santo Sepolcro. Anche per gli armeni ortodossi, i siriaci e la chiesa etiope, sarà la settimana più importante. Gli stessi frati francescani del convento nel Santo Sepolcro, pur avendo già celebrato la Pasqua secondo il calendario dei cattolici, rivivranno nuovamente i riti della Settimana santa.