Teheran e Pechino hanno firmato il 27 marzo un trattato di amicizia destinato a durare un quarto di secolo. L'Iran si butta nelle braccia della Cina, che promette di difendere la sua sovranità e allarga la sua area di influenza.
Il dado è tratto, dopo cinque anni di trattative e tentennamenti. Il 27 marzo scorso Cina e Iran hanno firmato, stavolta in via definitiva, il mega trattato economico e strategico – nonché militare – che legherà i due Paesi asiatici per i prossimi 25 anni. O meglio, metterà la Repubblica islamica sotto l’ala protettrice del grande fratello cinese, consentendole comunque di uscire da un isolamento internazionale in cui era precipitata dopo il ritiro unilaterale degli Stati Uniti di Donald Trump dall’accordo multilaterale del 2015 sul nucleare iraniano (che prevedeva la rinuncia ad ambizioni di potenza atomica da parte di Teheran in cambio di apertura mondiale ai commerci e agli investimenti).
«La Cina appoggia fermamente l’Iran nella difesa della sua sovranità statale e dignità nazionale», ha dichiarato il ministro degli Esteri cinese Wang Hi a Teheran, subito dopo aver siglato le carte insieme all’omologo iraniano, Javad Zarif. Le parole di Wang possono essere lette in due chiavi: in chiave esterna, verso i tanti nemici regionali e gli Stati Uniti; o in chiave interna, forse la più probabile, verso i non pochi critici iraniani, timorosi che la loro patria debba cedere poteri e prerogative territoriali al nuovo, ingombrante, alleato.
I dettagli dell’intesa non sono stati ancora pubblicati: chi ha letto il documento afferma che grosso modo corrisponde alle anticipazioni pubblicate dal quotidiano The New York Times lo scorso autunno. Si parla di 400 miliardi di dollari di investimenti cinesi in Iran nel prossimo quarto di secolo, in settori che vanno dal sistema bancario alle telecomunicazioni (comprese le tecnologie mobili più avanzate), dai porti alle ferrovie e alla sanità. Come contropartita, la Cina riceverebbe regolari forniture di petrolio iraniano a prezzi scontati. Tuttavia è ancora mistero sulle quote di infrastrutture e proprietà che potrebbe acquisire Pechino in terra persiana. Un capitolo riguarda la cooperazione strategica e militare, con l’impegno ad esercitazioni comuni, a sviluppare congiuntamente ricerca tecnologica e nuovi armamenti e a scambiarsi informazioni di intelligence. Prima della tappa in Iran, il ministro degli Esteri cinese si è cautelato andando in Arabia Saudita e in Turchia, e si appresta a visitare gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e l’Oman. Pechino appare attenta ad evitare qualsiasi schieramento unilaterale nel groviglio mediorientale; anzi si propone apertamente – come ha detto lo stesso Wang a Teheran – di contribuire a risolvere i conflitti nel Golfo Persico e si offre persino di mediare tra Israele e palestinesi, sfidando un ruolo appartenuto finora agli Stati Uniti.
C’è comunque da chiedersi che ripercussioni avrà l’intesa tra Cina e Iran sui tentativi, fin qui falliti, di riaprire una trattativa diretta tra il nuovo presidente statunitense Joe Biden e gli ayatollah di Teheran per resuscitare l’accordo sul nucleare stracciato da Trump, ma di cui erano co-firmatari anche l’Onu, l’Unione Europea, la Russia e la Cina. L’abbraccio irano-cinese non preclude nulla, anzi, in molti sperano che possa accelerare i tempi. L’embargo economico imposto dagli Stati Uniti contro la Repubblica islamica blocca, per timore di rappresaglie, gli investimenti e l’interscambio con Paesi di grande importanza per l’Iran, tra cui molte nazioni europee. Se nel nuovo clima da guerra fredda che sembra proseguire anche sotto l’amministrazione Biden, la Cina è un interlocutore certo più resistente alle minacce statunitensi, per gli iraniani, comunque, il superamento delle sanzioni occidentali non può che rimanere una priorità.
Intanto la svolta cinese, voluta fortemente dalla guida suprema l’ayatollah Ali Khamanei, è venduta ufficialmente in Iran come una vittoria del fronte anti-americano. A portare la trattativa in porto non sono stati né il presidente uscente Hassan Rouhani né il ministro degli Esteri Zarif. L’uomo chiave si chiama Ali Larijani, conservatore, ex presidente del Parlamento, politico trasformista, emissario personale di Khamenei in Cina. Ricordatevi il suo nome, perché Larijani potrebbe essere il candidato di punta della nomenclatura nelle elezioni presidenziali del prossimo giugno, dove si deciderà il successore di Rouhani.