Poco prima di Natale, durante i consueti auguri alla Curia romana, papa Francesco ha ricordato che la «pandemia è un’occasione propizia per una breve riflessione sul “significato della crisi”, che può aiutare ciascuno. La crisi è un fenomeno che investe tutti e tutto. È presente ovunque e in ogni periodo della storia, coinvolge le ideologie, la politica, l’economia, la tecnica, l’ecologia, la religione. Si tratta di una tappa obbligata della storia personale e della storia sociale. Si manifesta come un evento straordinario, che causa sempre un senso di trepidazione, angoscia, squilibrio e incertezza nelle scelte da fare. Come ricorda la radice etimologica del verbo krino: la crisi è quel setacciamento che pulisce il chicco di grano dopo la mietitura».
Ovviamente la pandemia non è un castigo divino né, tanto meno, un bene in sé. La perdita di lavoro, le difficoltà economiche, il distanziamento fisico, i numerosi lutti senza un ultimo saluto sono oggettivamente mali e sofferenze grandi. Eppure il Papa, sempre nella stessa circostanza, osa aggiungere che «questo flagello è stato un banco di prova non indifferente e, nello stesso tempo, una grande occasione per convertirci e recuperare autenticità».
Tutta la Sacra Scrittura è popolata di uomini e donne che hanno dovuto affrontare crisi e superare prove e, attraverso di esse, hanno portato avanti la storia della salvezza.
Ma perché Dio mette alla prova? Pensiamo ad Abramo. È stato invitato a lasciare la propria terra per incamminarsi verso un luogo sconosciuto (che il Signore indicherà); gli viene fatta una grande promessa (una discendenza numerosa come le stelle del cielo); il dono di un figlio quando umanamente non era più possibile e proprio sul finir della sua vita «Dio mise alla prova Abramo» (Genesi 22) chiedendo di sacrificare il suo unico figlio, il figlio amato. Che cosa vuol dire? Che Dio ha tentato Abramo? Che lo ha indotto a compiere il male? Che voleva la morte di suo figlio? O, invece, che voleva conoscere la sua obbedienza? Nel fermare la mano di Abramo nell’atto di colpire Isacco, Dio afferma: «Ora so che tu temi Dio». Bella scoperta! Dio ha bisogno di provarci per sapere qualcosa di noi? Dio sapeva già tutto, ma Abramo non sapeva di amare Dio ancor più del figlio della promessa, fino a quando non è stato messo alla prova. Il suo amore è stato messo alla prova e ha prodotto in lui una intima certezza, una sapienza del cuore.
C’è un aspetto pedagogico nella prova che porta all’acquisizione di intime certezze attraverso l’esperienza.
La prova, dunque, è necessaria all’uomo, non a Dio.
Quel che conta nel rapporto con Dio è «sapere» quanto ci ama e quanto noi lo amiamo, ma non un sapere erudito, intellettuale, bensì il sapere esperienziale di chi ha attraversato diverse prove ed è stato capace di viverle come «occasione». È stato così anche per Giobbe che, provato nelle ricchezze, negli affetti e persino nella propria carne, nell’ultima risposta al Signore dice: «Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono» (Giobbe 42,5).
Nel riprendere a celebrare l’Eucaristia con il concorso del popolo, papa Francesco, a fine maggio, ha ricordato che «peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla», cioè di non cogliere l’occasione, attraverso l’esperienza, di maturare una sapienza del cuore.
Innanzitutto abbiamo toccato con mano la fragilità che ci segna e ci accomuna tutti. La paura e l’angoscia hanno smascherato tante false sicurezze riposte in beni che non possono salvarci.
Abbiamo maggiore coscienza, non per sentito dire ma per esperienza, che non siamo padroni della nostra vita e che ogni scelta personale ricade sulla vita del prossimo, di chi ci sta accanto, ma anche di chi, fisicamente, sta dall’altra parte del mondo.
Dall’esperienza della pandemia tutti stiamo imparando che nessuno si salva da solo e che se c’è un futuro questo dipende dal contributo di tutti. Infatti siamo stati costretti dagli eventi a guardare in faccia la nostra reciproca appartenenza, il nostro essere fratelli in una casa comune.
Nell’emergenza abbiamo riscoperto atteggiamenti e gesti di vicinanza, di cura e di solidarietà.
Ciascuno potrebbe arricchire questo elenco con quello che la propria e personale esperienza gli ha fatto «sapere» di sé e del Signore, ringraziando – anche in tempo di pandemia – per la conoscenza sapienziale del mistero di Dio e della vita. Senza stancarci di chiedere continuamente la grazia di non sprecare questa preziosa occasione che ci è data.
—
(* Commissario di Terra Santa per il Nord Italia)
Eco di Terrasanta 2/2021
Palestinesi tra moda e modestia
Le donne musulmane di Gerusalemme hanno i propri gusti in materia di abbigliamento. Tra pudore ed eleganza, castità e ricerca di stile, le palestinesi dimostrano che fede e desiderio di femminilità oggi possono essere conciliati.