Si torna a parlare di una nuova linea ferroviaria che colleghi Turchia, Iran e Pakistan (aggirando l'Afghanistan). Servirebbe soprattutto al traffico merci. I vantaggi e le incognite.
Turchia, Iran e Pakistan hanno annunciato per il 2021 un progetto che fa sognare: la costruzione di una linea ferroviaria che collegherà Istanbul a Islamabad via Teheran. Sui binari correranno prima i treni merci e poi anche quelli passeggeri, carichi – si spera – anche di turisti. Un viaggio da 6.540 chilometri, più di un sesto della circonferenza del pianeta, 1.950 chilometri in Turchia, 2. 600 in Iran e 1.990 in Pakistan. Undici giorni per compiere l’intero percorso. Se sembrano troppi, basti pensare che in nave ne occorrono 21 per raggiungere le coste pakistane da Istanbul. I tre Paesi promotori pensano di avere tutto da guadagnare dalla nuova strada ferrata.
In attesa che il nuovo presidente statunitense Joe Biden rimuova le sanzioni anti-iraniane messe dal suo predecessore e torni a sedersi a un tavolo di trattativa, il governo di Teheran si concentra sui suoi vicini e ammicca alla Cina, qualora le cose non dovessero andare per il verso giusto. Da una linea ferroviaria che aumenti le connettività, l’interscambio e l’integrazione economica nell’Asia centrale, l’Iran non potrebbe che trarre beneficio, anche perché da queste parti i commerci avvengono in valuta locale, al riparo dalle rappresaglie statunitensi. Se poi venisse firmato il patto strategico da 400 miliardi di dollari tra Pechino e Teheran (su cui si sta negoziando e tentennando dal 2016, in parallelo alla crisi dell’accordo sul nucleare), la Cina avrebbe tutto l’interesse a sviluppare in Iran un hub di collegamenti regionali. Già di suo, la Repubblica Islamica sta predisponendo una nuova rete di connessioni ferroviarie con l’Afghanistan, con un occhio anche alle ex repubbliche sovietiche del Turkmenistan, del Tagikistan e del Kirghizistan.
Per il Pakistan potrebbero arrivare finanziamenti preziosi. Da Islamabad, la stazione d’arrivo ad oriente, la linea dovrebbe in seguito allungarsi fino allo Xinjiang cinese. Proprio in nome di un futuro passante strategico per la nuova Via della Seta promossa dalla Cina, il governo pakistano spera che sia Pechino a sostenere i lavori di costruzione della ferrovia.
Infine, a scommetterci è la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan, che si sta ritagliando un ruolo di interlocutore privilegiato nel nuovo espansionismo cinese e vede nella linea ferroviaria un potenziamento della posizione turca come terminale occidentale dei commerci asiatici. Un’arteria terrestre consentirebbe inoltre ad Ankara di evitare, per quanto possibile, le rotte controllate dall’Egitto, divenute ormai poco amichevoli. I giornali ufficiali iraniani, turchi e pakistani mostrano ottimismo sulla nuova iniziativa.
Il progetto del treno dell’Asia centrale ha però diversi punti deboli. Intanto non è una novità, ma il ripescaggio di un’idea che i tre Paesi avevano messo in cantiere nel 2009 e poi accantonato per difficoltà logistiche. Difficoltà che, undici anni dopo, non si sono risolte: infatti, mentre i binari iraniani e turchi sono in grado di reggere il peso dei treni merci, il Pakistan dovrebbe ammodernare le sue linee ferroviarie e, in particolare, nel Belucistan – la regione di confine con l’Iran – dovrebbe costruirle ex novo se non vuole disseppellirle dalle dune di sabbia sotto cui giacciono dimenticate da quasi un secolo. Un’operazione molto costosa. Islamabad conta su un finanziamento cinese per 8,2 miliardi di dollari, ma Pechino, al momento, chiede maggiori garanzie.
Al di là dei binari sepolti, il Belucistan, una regione rocciosa e di deserti lunari, è un problema non da poco. Rappresenta infatti una delle aree di frontiera più pericolose del mondo, terra dove a farla da padroni sono i signori della droga, i terroristi dell’Isis e i talebani che sconfinano dal vicino Afghanistan. Nelle attuali condizioni, una linea ferroviaria diventerebbe facile obiettivo di attacchi, rappresaglie, prese di ostaggi. A meno che il treno asiatico non si trasformi in un’occasione per una nuova politica di sicurezza e cooperazione tra Iran e Pakistan (con il coinvolgimento delle tribù afghane) che porti a un effettivo miglioramento delle condizioni di vita locali e coinvolga nei benefici economici dell’operazione popoli straziati da decenni di guerra e instabilità.
Perché Persepolis?
La città di Persepolis era il centro del mondo prima di Alessandro Magno e di Roma. Era simbolo di una stagione di convivenza e integrazione culturale per quell’immensa regione che chiamiamo Medio Oriente. Oggi le rovine della capitale politica dell’antico Impero Persiano si trovano nel cuore geografico di un’area che in pochi decenni ha visto e vede guerre disastrose, invasioni di superpotenze esterne, terrorismo, conflitti latenti e lacerazioni interne all’islam: eventi che sfuggono alle semplificazioni con cui spesso in Occidente si leggono le vicende di quel quadrante geografico e che richiedono pazienza nel ricercare i fatti e apertura nel valutarne le interpretazioni. È ciò che si sforzerà di fare questo blog, proponendo uno sguardo ravvicinato sulla cultura, la società, l’economia, la religione, le radici identitarie dell’Iran e dei territori a forte componente sciita, compresi tra il Mediterraneo e Hormuz, tra lo Yemen e l’Asia Centrale.
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Elisa Pinna, giornalista e scrittrice, è stata vaticanista, inviata per il Medio Oriente e corrispondente da Teheran per l’agenzia Ansa, oltre che collaboratrice di diverse testate italiane. Ha scritto libri sul pontificato di papa Benedetto XVI, sulle minoranze cristiane in Medio Oriente, sull’eredità dell’apostolo san Paolo. Con le Edizioni Terra Santa ha pubblicato Latte, miele e falafel: un viaggio tra le tribù di Israele e contribuito a Iran, guida storica–archeologica.