Israele va verso le quarte elezioni in meno di due anni. Come i precedenti scrutini, quello del prossimo 23 marzo dovrebbe assumere la forma di un referendum a favore o contro il primo ministro Benyamin Netanyahu, al potere da 14 anni. Dopo tre elezioni che li avevano visti quasi alla pari, Benyamin Netanyahu leader del partito Likud, e il suo rivale Benny Gantz, del partito centrista Kahol Lavan (Blu e Bianco), avevano deciso nella primavera 2020 di formare un governo di unità nazionale che avrebbe gestito gli inizi del pandemia. L’accordo tra i due prevedeva che Gantz sostituisse Netanyahu come primo ministro all’inizio del 2022. Unica condizione per questa rotazione era l’adozione di un bilancio unico per gli anni 2020 e 2021.
Niente di tutto questo è successo. La «Coalizione di unità ed emergenza», composta da partiti che non si fidano gli uni degli altri, si è sfaldata con l’esplodere della pandemia. Netanyahu ha poi bloccato l’adozione del bilancio statale, cosa che ha innescato lo scioglimento del parlamento a fine dicembre e avviato una nuova campagna elettorale. Ma diversi elementi suggeriscono che il risultato di queste elezioni potrebbe essere diverso dalle tre precedenti.
L’effetto Covid-19
Le ultime elezioni sono state nel marzo 2020, quando Israele è rimasto relativamente risparmiato dalla pandemia. Da allora il contesto sanitario si è deteriorato in modo significativo, con conseguenze economiche e sociali negative per il Paese. «Israele sta vivendo per la prima volta dal 1967 la realtà della disoccupazione e un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà», ha spiegato Michel Warschawski, giornalista e attivita israeliano. Lo Stato ebraico si trova ora di fronte a due tendenze contraddittorie: da un lato, è il Paese più avanzato nel processo di vaccinazione, con un quarto della popolazione che ha già ricevuto la prima dose di vaccino; ma ha anche uno dei tassi di infezione più alti al mondo.
«La gestione della pandemia è uno dei fattori che potrebbero cambiare le dinamiche delle elezioni – ha detto a Terresainte Hugh Lovatt, specialista della regione israelo-palestinese presso lo European Council on Foreign Relations (Ecfr) –. Non per niente Netanyahu sta intensificando la vaccinazione. Possiamo leggere le sue ansie politiche attraverso le decisioni che prende».
Processi e manifestazioni
Se Benyamin Netanyahu fino ad ora aveva potuto contare su una base elettorale leale e molto solida, la stanchezza sembra diffondersi tra gli israeliani. Dalla fine di giugno migliaia di manifestanti si sono radunati ogni sabato sera, nonostante lo Stato di emergenza sanitaria che vieta i raduni, davanti alla residenza del Primo ministro a Gerusalemme per chiederne le dimissioni.
Criticato per la sua cattiva gestione della pandemia e attualmente sotto processo in tre casi di corruzione, Netanyahu sembra trovarsi in cattive acque. «Le persone non si fidano più dei loro leader e, indirettamente, non si fidano più del sistema», ha detto Liran Harsgor, professore di Teoria politica all’Università di Haifa al quotidiano Le Monde. Il Jerusalem Post osa persino questo paragone: «Gli israeliani sono vittime di una relazione abusiva con i loro governanti». Le elezioni arrivano nel momento sbagliato per il premier, che dovrà guidare la sua difesa, una campagna elettorale e contemporaneamente alleviare la crisi sanitaria.
Una paralisi politica
Politicamente, le forze in gioco non sono più le stesse della primavera. I rivali più seri di Netanyahu si trovano ora alla sua destra, un blocco in fase di ricomposizione politica. I due principali oppositori, Naftali Bennett e Gideon Saar, sono ex alleati di Netanyahu. «Se si unissero con altri partiti di destra e di centro, potrebbero ottenere la maggioranza», ha detto Ben Sales, cronista del Times of Israel.
Dall’altro lato dello spettro politico, ci sono poche alternative. La sinistra sionista è crollata. Solo la lista araba unitaria che riunisce gli arabi israeliani è emersa vittoriosa alle precedenti elezioni, raccogliendo sempre più voti. «La natura detesta il vuoto. Senza alternative né a sinistra né al centro, il passaggio all’estrema destra diventa sempre più plausibile», è l’analisi del giornalista e storico Dominique Vidal. Tre mesi prima del voto, in un panorama politico frammentato, i sondaggi non permettono di delineare gli esiti dello scrutinio. Questa è la previsione di Hugh Lovatt dell’Ecfr: «I risultati non daranno un esito netto e sarà difficile formare una coalizione di governo. Probabilmente stiamo andando verso un momento di paralisi politica». Ci sono cose che non cambiano.