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Stop alla vendita di pezzi del museo d’arte islamica di Gerusalemme

Cécile Lemoine
26 novembre 2020
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Stop alla vendita di pezzi del museo d’arte islamica di Gerusalemme
Il direttore dell'Istituto d'arte islamica L.A. Mayer, Nadim Sheiban. (Foto Hadas Parush/Flash90)

All’asta oltre duecento pezzi di una collezione unica, per colmare i buchi di bilancio. Ma due vendite sono già state sospese, per non disperdere un patrimonio culturale voluto per avvicinare ebrei e palestinesi.


A grandi mali, grandi rimedi? Finanziariamente alle corde, l’Istituto di arte islamica L.A. Mayer di Gerusalemme, che ospita una delle più importanti collezioni di questo tipo al mondo, a fine ottobre intendeva mettere all’asta una parte dei suoi tesori. Tra i 268 oggetti preziosi presentati da Sotheby’s a Londra troviamo, ad esempio, una pagina proveniente da un Corano quasi millenario, uno splendido tappeto turco o, ancora, un raro orologio Breguet d’oro. Le controverse aste dovevano tenersi il 27 e 28 ottobre, ma temendo di vedere disperso una parte del suo patrimonio culturale, il governo israeliano ha bloccato la vendita che è stata posticipata.

Grande conoscitore della cultura islamica, il presidente israeliano Reuven Rivlin ha affermato, secondo quanto riporta il Times of Israel, che «il valore e l’importanza della collezione superano il suo valore monetario» e ha chiesto di evitare la vendita di questo patrimonio culturale.

Un fallimento da evitare 

Rimandata al 25 novembre, la vendita è stata nuovamente sospesa, questa volta per intervento della Corte suprema israeliana, cui si è rivolta la settimana scorsa l’associazione Hashava, che si occupa di recupero di opere d’arte rubate durante la Shoah. La Corte raccomanda al museo, alla casa d’aste londinese e al ministero della Cultura di negoziare lo svolgimento di una vendita più limitata.

La messa all’asta di questi capolavori dovrebbe fruttare, secondo le stime, dai 4 ai 6 milioni di dollari Usa al museo che versa in difficoltà economiche da alcuni anni. La situazione si è anche aggravata con la crisi sanitaria e la vendita, programmata da due anni, è cruciale per evitare il fallimento. «Se non agiamo ora – ha riferito al Financial Times il direttore del museo, Nadim Sheiban – dovremo chiudere nel giro di cinque o sette anni. Oggettivamente ritengo che questa vendita sia la cosa giusta da fare, ma la vivo come dessi i miei figli a qualcun altro».

Ponti di dialogo culturale

Gli importi raccolti permetterebbero una «sopravvivenza a lungo termine e il mantenimento dei programmi educativi», aggiunge il direttore. Il museo, infatti, propone corsi di arabo che attirano un vasto pubblico e Nadim Sheiban ha incoraggiato il personale ad apprendere la lingua dell’altro per aiutare ad abbattere le barriere. Nei principi di tolleranza il direttore Sheiban resta fedele alla fondatrice del museo, Vera Bryce Salomons, discendente di una ricca famiglia ebrea britannica, che intraprese negli anni Sessanta la creazione della sua collezione. Si rivolse allo storico dell’arte Richard Ettinghausen, che la aiutò nell’acquisto dei pezzi più importanti, in particolare tessuti, manoscritti, ceramiche e armature. Arrivò a riunire più di 5.500 oggetti, che coprono un periodo storico del mondo musulmano che va dal VII al XIX secolo, in un museo che è tutt’ora finanziato dal suo lascito originario.

Il museo ha aperto le porte nel 1974, cinque anni dopo la morte di Vera Salomons, nella parte ebraica di Gerusalemme. Desiderosa di costruire i ponti tra ebrei e palestinesi a Gerusalemme, «ha operato per la pace e la diffusione di una comprensione reciproca e della tolleranza nella regione», come sottolinea Heidemarie Wawrzyn, che le ha dedicato una biografia. Un dialogo culturale che oggi Israele cerca di preservare.

Durante la pandemia da coronavirus anche in Terra Santa molti musei hanno dovuto chiudere le loro sale al pubblico. Così molti dei reperti esposti sono fruibili, almeno virtualmente, attraverso le pagine elettroniche dei loro siti istituzionali. Il Museo di arte islamica di Gerusalemme non fa eccezione.

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