Nel numero di novembre-dicembre della rivista Terrasanta il francescano David M. Jaeger commenta l’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti soffermandosi soprattutto sulle ricadute in Medio Oriente ed Europa. Anticipiamo qui il suo intervento.
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L’elezione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti d’America fa presagire un cambiamento delle politiche americane riguardo al Medio Oriente, specie la Terra Santa, nel contesto di un ripristino del riguardo per le regole nei rapporti internazionali. Si prevede una rinnovata attenzione alle istanze di tutte le parti interessate come pure una preferenza per la consultazione e la collaborazione con l’Europa e un rafforzamento del ruolo degli organismi internazionali, a partire dall’Onu e dalle sue agenzie specializzate. Sarà innanzitutto una questione di «stile», che poi si farà anche sostanza. La paziente ricerca della pace tra le due nazioni, che hanno in Terra Santa la loro patria, potrà riprendere in modo ordinato e coerente, non più sostituita da clamorosi gesti unilaterali, talvolta persino in difformità dal diritto internazionale. Immutata rimarrà quell’amicizia con Israele che garantisce la sicurezza dello Stato ebraico, ma si riapriranno anche i canali di comunicazione con il governo palestinese, il quale si fiderà di nuovo della volontà degli Stati Uniti di promuovere una pace equa, genuinamente nell’interesse di entrambi i popoli.
A livello regionale, l’amministrazione Biden potrà aderire di nuovo all’accordo delle potenze con l’Iran in materia nucleare e comunque evitare – in questo come in altri contesti – una retorica inutilmente combattiva.
Non c’è da aspettarsi che la nuova presidenza americana si adoperi subito e su larga scala; lo potrà fare, ma al momento pare ragionevole pensare che per essa la priorità sarebbe rispondere alle gravi sfide a casa propria: sviluppare e mettere rapidamente in esecuzione una strategia più efficace per far fronte all’epidemia Covid-19 assieme al recupero della piena funzionalità della riforma sanitaria del presidente Barack Obama; calmare le tensioni esplosive a sfondo ideologico e razziale, aggravatesi nell’ultimo quadriennio; recuperare le norme per la protezione dell’ambiente, anch’esse assoggettate nello stesso arco di tempo a sistematica erosione; quindi ricostruire quant’altro abbia subito danni. Ma già la prospettiva di un impegno responsabile da parte di Washington dovrà servire a vari ripensamenti e «ri-calibrazioni» da parte di più soggetti nella regione.
Oltre alla ripresa di leali rapporti con i palestinesi – complementari alla perdurante amicizia con gli israeliani – il motivo più importante per nutrire speranze per progressi verso la pace in Terra Santa si troverebbe nel prevedibile sensibile miglioramento del rapporto tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea. L’Europa è più vicina e perciò, ma anche per le note ragioni storiche, potenzialmente ancor più pronta ad impegnarsi in prima linea, specialmente qualora incoraggiata dall’America.
E per quanto riguarda le preoccupazioni specifiche dei cattolici – dalla libertà religiosa alla tutela dei Luoghi Santi – è certamente rassicurante la consapevolezza del fatto che Joe Biden è un fedele cattolico; egli sarà il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti, dopo John F. Kennedy. Il tradizionale ruolo dell’episcopato statunitense nel far conoscere le necessità e le attese della Chiesa in Terra Santa a successivi presidenti degli Stati Uniti – ne sono testimone – porta a formulare l’augurio che la Chiesa negli Stati Uniti sappia apprezzare il fatto che il presidente Biden è membro della stessa «famiglia dei credenti» (cfr Lettera ai Galati 6, 10), quindi possa riceverlo anche da fratello nella fede con un caloroso abbraccio.
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