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Gli ebrei americani alle urne deludono Israele

Fulvio Scaglione
6 novembre 2020
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I sondaggi d'opinione dicono che una consistente fetta di israeliani è favorevole alla riconferma del presidente Donald Trump, considerato come la migliore opzione per Israele. Gli elettori ebrei statunitensi, per lo più, hanno invece votato Biden.


Nelle lunghe settimane della campagna elettorale americana, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha evitato con cura di criticare il democratico Joe Biden. Ma si è spesso espresso con grandi elogi per il repubblicano Donald Trump, facendo così ben capire a chi andasse la sua preferenza. Normale, visto che Donald Trump è il presidente che ha trasferito l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, ha riconosciuto come «legali» tutti gli insediamenti israeliani, ha spinto alcuni Paesi arabi a firmare trattati di pace con Israele. Netanyahu, del resto, era in linea con i sentimenti del Paese. Secondo un sondaggio della rete televisiva Channel 12, il 54 per cento degli israeliani ha tifato per Trump e solo il 21 per cento per Biden.

Non c’è da stupirsi, quindi, se l’esito del voto ha deluso più d’uno, in Israele. Intanto perché gli ebrei americani, a dispetto delle preferenze e delle convenienze degli ebrei residenti in Israele, hanno replicato il loro storico allineamento al Partito democratico. Secondo J Street, organizzazione «di sinistra» dell’ebraismo americano, il 77 per cento degli ebrei statunitensi avrebbe votato per Biden. L’Associated Press ridimensiona il dato al 68 per cento, ma è, in ogni caso, una larghissima maggioranza. Tanto che Ayoob Kara, ex ministro delle Comunicazioni di Israele ed esponente del partito Likud, citando a sua volta un 72 per cento di preferenze per Biden all’interno della vasta (tra gli 8 e i 10 milioni di persone) comunità ebraica Usa, ha parlato di «tradimento» degli ebrei americani ai danni del «miglior presidente per Israele».

In secondo luogo, l’arrivo di Biden alla Casa Bianca è seguito con sospetto da tutti coloro che lo ricordano per otto anni vice di Barack Obama, ovvero del presidente che nel 2015 firmò con l’Iran un accordo che Israele ha sempre vissuto come un cedimento agli ayatollah e un rischio per la sicurezza nazionale. Durante la campagna elettorale, Joe Biden ha detto di voler rispristinare quell’accordo (nel 2018 disdetto da Trump), ma «a determinate condizioni».

Quali siano le «condizioni» non si sa, ma è chiaro che in Israele molti non si fidano. E infatti Tzachi Hanegbi, ministro per gli Insediamenti, ha detto che una vittoria di Biden porterà «allo scontro tra Israele e l’Iran». Lo stesso timore che, prima del voto, ha spinto un gruppo di rabbini a invitare i fedeli a votare per Trump.


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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