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Quali conseguenze può avere l’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti?

Giuseppe Caffulli
14 agosto 2020
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Quali conseguenze può avere l’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti?
Il municipio di Tel Aviv illuminato con i colori della bandiera degli Emirati Arabi Uniti (foto Avshalom Sassoni/Flash90)

La «nuova» amicizia tra Israele ed Emirati Arabi Uniti non è davvero nuova. Suggella i rapporti sempre più stretti dello Stato ebraico con le monarchie del Golfo. Porterà vantaggi a molti, ma non alla causa palestinese.


La stampa nazionale e internazionale ha dato ampio risalto all’accordo tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti per l’avvio di pieni rapporti diplomatici; intesa mediata da Washington e pomposamente definita «accordo di pace», in base alla quale Israele «sospenderà» i suoi piani per annettere parti dei territori palestinesi.

Non sfugge però agli osservatori attenti l’ambiguità – qualcuno parla di incongruenza – che le differenti narrazioni – di parte israeliana ed emiratina – contengono.
Benjamin Netanyahu, da parte sua, parlando in ebraico ai media locali, ha affermato che «non c’è alcun cambiamento» nei suoi piani di annessione. Gli Emirati Arabi Uniti hanno viceversa presentato come parte dell’intesa l’«interruzione immediata dell’annessione».

Dopo l’Egitto (nel 1979) e la Giordania (nel 1994), gli Emirati Arabi Uniti sono il terzo Paese arabo a stringere relazioni diplomatiche formali con Israele.
L’avvenuto accordo è stato ovviamente presentato da Donald Trump, che si trova ad affrontare le dure elezioni presidenziali il 3 novembre, come una sua significativa vittoria in politica estera. E non c’è dubbio faccia parte della strategia messa in atto con il cosiddetto «Piano del secolo», che contempla contemporaneamente la rottura del fronte arabo e una serie di accordi economici. Oltre allo scambio di ambasciatori, Emirati Arabi e Israele firmeranno infatti protocolli commerciali nel campo del turismo, del trasporto aereo, della sicurezza, delle telecomunicazioni, della tecnologia, dell’energia e della sanità, solo per citare i principali. Una strategia che mira a stringere accordi simili anche con Arabia Saudita, Oman e Bahrain.

Un tradimento per i palestinesi

Come era prevedibile, l’accordo è stato vissuto come un tradimento dai palestinesi, che vedono indebolirsi sempre più le chance per la nascita di uno Stato autonomo nel quadro di un negoziato di pace. Non a caso Ramallah ha richiamato l’ambasciatore palestinese da Abu Dhabi.
Hanan Ashrawi, nota esponente politica palestinese, in un tweet ha usato parole durissime verso gli emiratini: «Possiate non provare mai l’agonia di vedersi rubare il Paese; che non sentiate mai il dolore di vivere in cattività sotto occupazione; possiate non assistere mai alla demolizione della vostra casa o all’assassinio dei vostri cari».

Nonostante l’avvio di rapporti diplomatici sia arrivato solo adesso, Israele e Emirati Arabi hanno stretto significativi legami nel corso degli anni. La prima ragione è la lotta al comune nemico iraniano: i sette emirati che compongono la federazione (Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujara, Ras al-Khaima, Sharja, Umm al-Qaywan) vedono come fumo negli occhi Teheran, che non ha mai smesso di strumentalizzare la minoranza sciita emiratina (15 per cento, contro l’85 per cento di sunniti) per destabilizzare la regione. In seconda battuta gli Emirati, fortemente occidentalizzati in quanto a stile di vita, hanno bisogno della tecnologia e dei dispositivi di sicurezza israeliani.

Al mondo arabo (e ai palestinesi in particolare) non era sfuggita la presenza dell’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti negli Stati Uniti alla presentazione del piano di Trump la pace in Medio Oriente nel gennaio scorso. Tutto lasciava insomma intendere che fosse scoppiata una sorta di love story, come l’hanno definita alcuni media arabi.

A lodare l’accordo si sono levate diverse voci. Anche lo sfidante alla Casa Bianca Joe Biden sembra aver accolto con favore l’intesa: «L’offerta degli Emirati Arabi Uniti di riconoscere pubblicamente lo Stato di Israele – ha detto – è un atto di abilità di governo coraggioso e assolutamente necessario».

Per i movimenti pacifisti e anti-occupazione, viceversa, non c’è nulla di cui rallegrarsi. L’accordo non comporta nessun beneficio pratico per la Palestina, la cui sorte resta ancora indefinita. In più, il momento storico in cui l’intesa è stata annunciata (le imminenti elezioni americane e le difficoltà interne del governo bifronte Netanyahu – Gantz) possono indurre a ritenerlo uno strumento di «distrazione di massa» per due leader – Trump e Netanyahu – alle prese con la catastrofica gestione della pandemia e una grave crisi politica ed economica.


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