Accade che i progressi tecnologici aprano la strada a nuove scoperte su reperti archeologici già disponibili e studiati. È il caso delle informazioni che i cocci di argilla di Samaria rivelano sulla lingua ebraica antica.
I frammenti sono tra i più importanti materiali epigrafici dell’epoca biblica. Conosciuti con il nome greco ostraca, furono rinvenuti nel 1910 a Sebastia, presso Nablus (Territori palestinesi) durante gli scavi tra i detriti di un antico palazzo. Sono un centinaio di pezzi che recano segni di scrittura in antico ebraico: annotazioni di circa 2.800 anni fa che si riferiscono al trasporto di olio e di vino dalle tenute reali di campagna verso il palazzo di Samaria, capitale del Regno del Nord. In base all’anno indicato, sono tre i regni a cui gli ostraca possano risalire: quello di Acab (IX secolo, ma ritenuto improbabile), di Ioas, o di suo figlio Geroboamo II, nell’VIII secolo.
Il significato delle parole sui reperti, oggi conservati in un museo di Istanbul, era già conosciuto. Le novità, di cui ha parlato diffusamente la stampa israeliana nei mesi scorsi, vengono da uno studio condotto dall’Università di Tel Aviv e dedicato all’analisi algoritmica della grafia.
La ricerca getta una nuova luce sull’apparato burocratico nell’Israele al tempo della Bibbia. Con il ricorso a nuove tecnologie e il coinvolgimento di matematici e fisici, oltre che di archeologi, l’indagine ha voluto appurare quanti fossero gli autori dei testi scritti. Dato il contesto, questo significa stimare quante persone nella Samaria di quel tempo fossero in grado di scrivere.
Dall’esame di 39 frammenti è emerso che erano solo due gli scribi nel palazzo, all’apice della prosperità del Regno del Nord. I ricercatori perciò sono giunti alla conclusione che la scrittura fosse un’attività limitata a pochi e controllata nei centri di attività burocratica. Ne è nato qualche ironico titolo di giornale, come ad esempio «Israeliti illetterati?».
Altri ritrovamenti fatti a Samaria di oggetti coevi con influenze fenice ed egiziane, fanno capire quanto fosse vivace lo sviluppo economico raggiunto dal Regno del Nord che controllava un territorio esteso dalla Siria al Sinai, prima della capitolazione avvenuta nel 722 a.C. per mano degli assiri.
Le poche parole tracciate con inchiostro sugli ostraca registrano beni: quale recipiente contiene una tal cosa, da quale regione e clan proviene, quando i beni sono stati portati in città. Scarne parole dell’età del ferro che hanno permesso ai linguisti di scoprire che coloro che le hanno scritte parlavano un dialetto dell’ebraico biblico, oggi chiamato «dialetto settentrionale», diverso da quello diffuso nel Regno di Giuda, con pronuncia e costruzioni lessicali diverse. Oltre ad arricchire lo studio dell’ebraico biblico, i cocci rivelano aspetti dell’agricoltura e del commercio nel mondo antico.
La scoperta relativa ai cocci di Samaria contrasta invece con le ricerche fatte sull’uso della scrittura nel regno di Giuda un paio di secoli più tardi. Incisioni su cocci del VI-VII secolo scoperti presso Arad (deserto del Neghev) fanno ritenere che in quel periodo l’alfabetizzazione fosse più diffusa. Nelle 18 iscrizioni di Arad esaminate, che contengono corrispondenza militare e che precedono di poco la caduta di Gerusalemme nelle mani dei babilonesi (597 a.C.), sono emerse le mani di almeno sei diversi autori.
Queste scoperte potrebbero svelare una transizione verso una diffusione della capacità di scrittura. Il tentativo di ricostruire lo sviluppo della capacità di scrivere negli antichi regni israeliti si lega a un dibattito sulla composizione dei testi biblici. La maggior parte degli studiosi ritiene che la Bibbia sia stata scritta, redatta e ricorretta da molteplici mani nel corso dei secoli, attingendo a fonti diverse. Ma non c’è accordo su quando sia iniziato tale processo, e sul periodo in cui i primi scribi abbiamo messo mano alla pergamena. Secondo alcuni sarebbe accaduto dopo la distruzione di Gerusalemme e l’esilio babilonese, perché non c’è prova che la capacità di scrivere fosse diffusa nel periodo del primo Tempio abbastanza da potere sostenere una tale impresa letteraria.
I ritrovamenti degli ostraca di Arad contraddirebbero questa tesi: almeno alcune parti della Bibbia sarebbero state compilate a Gerusalemme prima della distruzione del primo Tempio, forse alla fine del VII secolo, sotto Giosia, re di Giuda (640-609 a.C.). Durante il suo regno, è scritto nel II Libro dei Re, fu «trovato» il libro del Deuteronomio. Probabilmente però gli scribi di Giosia non vennero fuori dal nulla, ma compilarono e redassero tradizioni scritte e orali precedenti, alcune delle quali giunsero forse con i profughi dal regno nel Nord quando fu travolto dagli assiri.
Altri reperti della stessa epoca rinvenuti nel Nord hanno comunque mostrato che, anche se il numero di scribi era ridotto, esisteva già la capacità di comporre testi letterari. (f.p.)
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