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Israele verso un nuovo governo e annessioni in Cisgiordania

Fulvio Scaglione
9 aprile 2020
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La capriola politica che porta gli ex avversari Natanyahu e Gantz a formare un nuovo governo israeliano apre anche la strada a nuove annessioni di Territori palestinesi. Con il benestare della Casa Bianca.


Neanche l’emergenza per il coronavirus rallenta la progressiva umiliazione dei palestinesi. Lo testimonia la formazione, pur travagliata, del governo Netanyahu-Gantz, i grandi rivali diventati alleati dopo il voltafaccia di Gantz, lesto nello smantellare il progetto della  coalizione Blu e Bianco che lui stesso aveva fondato con Yair Lapid proprio in opposizione al Likud. I due, che dovrebbero presiedere il governo a turno, mal si sopportano. E ora che si è arrivati a discutere di come spartire il potere (ultimo casus belli, i criteri di nomina dei giudici) fanno fioccare le polemiche e gli ultimatum. Su una cosa sola hanno trovato subito l’accordo: come infliggere altre bastonate ai palestinesi.

Per capire bene dove si va a parare, però, bisogna prima ricostruire quel che è avvenuto tra Israele, i palestinesi e il virus. All’inizio c’è stata una buona collaborazione: israeliani e palestinesi hanno formato una commissione congiunta e Israele ha anche aperto, sia pure in piccola parte, i condotti finanziari che intercettano i quattrini dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp).

Poi, man mano che il virus si faceva strada (al 9 aprile, siamo a quasi diecimila contagiati e un’ottantina di morti nello Stato ebraico), Israele ha cambiato atteggiamento. I lavoratori palestinesi contagiati sono stati espulsi verso la Cisgiordania senza alcun accordo preventivo con l’Anp. Un ospedale provvisorio per palestinesi, allestito nella Valle del Giordano, è stato demolito. Analoga sorte hanno continuato a subire numerose abitazioni palestinesi, in ovvia contraddizione con il «distanziamento sociale» che dovrebbe impedire la diffusione del contagio. Nulla è stato fatto, peraltro, all’interno della cosiddetta Linea Verde, per garantire ai palestinesi che risiedono in Gerusalemme o che sono cittadini di Israele di avere lo stesso accesso ai test e ai ricoveri ospedalieri di cui godono tutti gli altri israeliani.

Com’è ovvio, la diffusione della pandemia potrebbe avere effetti disastrosi in una realtà come quella palestinese, che già in tempi «normali» soffre di una cronica insufficienza di strutture mediche adeguate. E questo, forse, spiega anche la fretta con cui Benjamin «Bibi» Netanyahu e Binyamin «Benny» Gantz, appena raggiunto l’accordo per la formazione del Governo, hanno annunciato il proposito di annettere entro qualche mese almeno parte della Cisgiordania già disseminata di insediamenti israeliani.

L’idea, secondo quanto scrive la stessa stampa israeliana, è di preparare una bozza di annessione, sottoporla alla Casa Bianca, farla approvare dal Parlamento israeliano (Knesset) e poi procedere. Tutto finto, scontato in partenza. L’annessione della Cisgiordania era prevista dal «Piano del secolo» presentato da Donald Trump in gennaio, il sì della Knesset scontato. Il diritto internazionale, per la milionesima volta, ignorato e calpestato.

Non ci si deve stupire troppo. La politica israeliana non è nuova a colpi di scena come questo, tra alleanze che diventano ostilità ed ex nemici che si abbracciano. Sulla questione della sicurezza (termine passe-partout con cui i politici israeliani giustificano qualunque azione) e dei rapporti con i palestinesi, poi, Netanyahu e Gantz (entrambi ex militari) non sono mai stati troppo lontani. Resta da analizzare la fretta di Bibi e Benny. Approfittare del coronavirus, ovvio, che fiacca ancor più i palestinesi e distrae l’opinione pubblica mondiale. Ma forse anche dei residui mesi della presidenza Trump. Se la Casa bianca dovesse dare cattiva prova di sé con la pandemia, a novembre gli americani potrebbero eleggere un nuovo Presidente. Meglio quindi non aspettare.


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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