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Perché il Santo Sepolcro resta sbarrato?

Terrasanta.net
1 aprile 2020
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Perché il Santo Sepolcro resta sbarrato?
Un monaco armeno occhieggia da uno sportello nel portone del Santo Sepolcro il 28 marzo 2020. (foto Olivier Fitoussi/Flash90)

In nome dell'emergenza coronavirus, dal 25 marzo scorso la basilica del Santo Sepolcro è chiusa, nonostante i propositi delle autorità religiose cristiane che la amministrano. Inviata una lettera di protesta al primo ministro israeliano.


(g.s.) – Dalla serata del 25 marzo, e per almeno sette giorni, il portone della basilica del Santo Sepolcro, a Gerusalemme, è chiuso. Lo hanno disposto le autorità civili nell’ambito delle misure adottate per contrastare il diffondersi dei contagi da Covid-19.

Nel pomeriggio dello stesso giorno le autorità ecclesiastiche che amministrano la basilica hanno preso atto della decisione. La mattina del 26 marzo il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Theophilos III, il custode di Terra Santa Francesco Patton e il patriarca armeno di Gerusalemme Nourhan Manoughian hanno diffuso un comunicato per spiegare che la vita liturgica all’interno della basilica continua regolarmente, giorno e notte, e viene assicurata dai monaci e frati che stabilmente presidiano il complesso. La preghiera si farà semmai ancora più intensa. La basilica, recitava il comunicato, resterà accessibile solo durante le celebrazioni liturgiche, ma sarà ammesso solo un piccolo numero di persone, per evitare il diffondersi del contagio.

Una lettera a Netanyahu

In realtà non è andata così: il portone è rimasto chiuso per volontà politica. Ieri, 31 marzo, se ne sono lamentati, in una lettera indirizzata al primo israliano Benjamin Netanyahu e inoltrata per conoscenza anche al presidente Reuven Rivlin e al procuratore generale Avichai Mandelblit.

Nella missiva i due patriarchi ortodossi e il francescano cattolico sottolineano che «il più sacro sito dei cristiani resta chiuso non solo per i fedeli, ma anche per i capi delle Chiese che vi vivono dentro». I tre religiosi invocano il rispetto della libertà di culto e la parità di trattamento con le altre componenti religiose della società israeliana. Sottolineano di non poter accettare «che le nostre comunità siano impedite dal celebrare all’interno della Basilica, ognuno in accordo con quanto previsto dal proprio calendario liturgico e dai propri riti».

I principali responsabili dell’amministrazione del santuario cristiano ribadiscono un dato ben noto a tutte le autorità politiche di Terra Santa e cioè che tutte le questioni inerenti al Santo Sepolcro sono «regolate sulla base di un Accordo, riconosciuto localmente e internazionalmente tra le tre comunità, che garantisce rispetto per la natura unica di questo luogo e per la sua autonomia».

Le restrizioni da rispettare

Nell’assicurare il proprio impegno al rispetto di tutte le misure precauzionali richieste dalle autorità sanitarie, i tre ecclesiastici scrivono: «Da parte nostra garantiamo che fino a quando le restrizioni non saranno ridotte, le celebrazioni saranno chiuse al pubblico, limitando il numero dei presenti a 10 sacerdoti che entreranno nella Basilica e che presenzieranno alle celebrazioni nei vari posti designati (gli officianti e i ministri essenziali al servizio e alla sua eventuale trasmissione al resto del mondo)».

Gli stessi religiosi responsabili della basilica il 21 marzo scorso, pur mantenendo il luogo santo aperto al culto, avevano chiesto a tutti il rispetto di alcune misure precauzionali. Veniva disposto, in particolare, di non formare gruppi superiori alle dieci persone (come richiesto a tutti in Israele); di tenere una distanza minima di due metri gli uni dagli altri; di evitare ogni forma di devozione espressa con il contatto fisico, come baciare o accarezzare pietre, abiti, icone; di attenersi ad ogni disposizione delle autorità civili competenti.

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