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La biblioteca di Safira

Laura Silvia Battaglia
26 febbraio 2020
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«Voglio che la mia biblioteca diventi un centro culturale a Baghdad per le persone di ogni età e provenienza», dice Safira Jamil Hafidh, 88 anni, scrittrice prolifica e celebre in Iraq. Per lei leggere libri e discuterne è uno dei piaceri della vita.


A Baghdad la scrittrice Safira Jamil Hafidh, 88 anni, ha aperto al pubblico la sua biblioteca privata, sfidando il clima di incertezza alimentato dalle forti proteste antigovernative in corso da mesi nella capitale irachena. Hafidh spera che questa provocazione possa contribuire a ricostruire la devastata scena culturale del suo Paese. Non è facile, ma la Hafidh ci prova perché ci crede. «Baghdad è una città un tempo conosciuta come il centro globale orientale per la cultura e per l’apprendimento. Ricordare le sue radici e far rivivere l’amore per la lettura dopo decenni di difficoltà, è importante. Una madre è come una scuola, vuole che i suoi figli imparino, leggano libri e vengano educati. Così mi sento io con Baghdad: Baghdad è mia madre».

Situata all’ultimo piano della sua casa, nel quartiere di Karrada, la biblioteca occupa due camere e ha un ingresso privato. Fornisce un’istantanea della ricca storia dell’Iraq e include la collezione privata di belle arti e oggetti d’antiquariato Hafidh. La biblioteca è anche un tributo alla madre della scrittrice, Aisha Abdel Fattah, appartenente a un’importante famiglia irachena che ha contribuito allo sviluppo della letteratura e dell’educazione locali. Safira Hafidh ha chiamato la biblioteca Shams Al Omoma, che significa «il sole della maternità», riferendosi alle madri come fonte di conoscenza e come luce-guida per i bambini. «Mia madre era solita incoraggiare i miei fratelli e le mie sorelle a leggere sempre», rivela Safira.

Hafidh, il cui sogno è quello di leggere tutti i libri iracheni esistenti al mondo, afferma che la biblioteca faceva anche parte di uno sforzo della sua famiglia per preservare ciò che era rimasto dopo che migliaia di documenti e libri furono persi o danneggiati durante l’invasione americana nel 2003 e la guerra civile successiva. Poco dopo l’invasione, infatti, un incendio distrusse la Biblioteca nazionale di Baghdad, i suoi manoscritti, i libri e i giornali lì archiviati.

La biblioteca di Hafidh è la prima struttura privata del genere a Baghdad. Ci sono voluti quattro mesi per allestirla, con l’aiuto e il supporto di scrittori e giornalisti locali. Sui suoi scaffali ci sono centinaia di libri, in inglese e arabo, della sua collezione personale, divisi in diverse sezioni. «Voglio che la biblioteca diventi un centro culturale a Baghdad per le persone di ogni età e provenienza», afferma Safira. Per lei leggere libri, comprarli e discuterne sono i piaceri che definiscono un intellettuale di Baghdad.

Safira Jamil Hafidh è un’autrice prolifica, avendo iniziato la sua carriera negli anni Cinquanta del secolo scorso. Ha lavorato come giornalista in un giornale locale, prima di dedicarsi a romanzi e racconti. Ha preso parte a dibattiti letterari ed è stata una scrittrice ben nota già quando il Paese aveva poche donne autrici. Uno dei suoi racconti più famosi, il pluripremiato Bambini e giocattoli, pubblicato nel 1956, ha messo in dubbio il significato della libertà dal punto di vista di una donna, discutendo del suo ruolo sociale. Hafidh ha anche avuto un ruolo di primo piano nella costituzione del movimento per i diritti delle donne in Iraq ed è stata eletta nel Consiglio centrale dell’Unione generale degli scrittori iracheni nel 2005.


 

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen).

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24, Tv2000), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu).

Ha girato, autoprodotto e venduto vari video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

 

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