Minnena in dialetto egiziano vuol dire «parte di noi». Ma nell’uso locale si utilizza anche per apporre una dedica, un pensiero su missive e regali per dire, semplicemente, «da parte nostra». Così, questo volume compatto, appena pubblicato da Mesogea – editore siciliano da sempre attento a tutto quel che accade e si muove nel Mediterraneo, soprattutto in tema di letteratura in lingua araba – è un presente a Giulio Regeni e alla sua famiglia, da parte di ricercatori – arabisti, sociologi, politologi – che a vario titolo e in varie riprese si sono mossi al di là del Mediterraneo. Ed è un libro di cui si sentiva la mancanza e di cui adesso si avverte tutta la necessità, rispondendo di fatto al dibattito pubblico ma anche al vuoto di risposte creatosi nel mondo accademico subito dopo la morte del giovane ricercatore Giulio Regeni, barbaramente torturato e poi ucciso al Cairo, dove si trovava per un progetto di ricerca dell’università di Cambridge.
Minnena, che nasce dal confronto tra studiosi e ricercatori durante le giornate di studio internazionali Research for Giulio Regeni del 2018 nelle università di Messina e Catania, non è una collettanea di saggi accademici per specialisti di alcune discipline ma un percorso di autocoscienza e riflessione che un gruppo di intellettuali impegnati e qualificati ha reso pubblico, dandogli un linguaggio accessibile e una diffusione ampia, nella convinzione che i saperi specialistici siano una risorsa nella nostra società e che vadano difesi ad ogni costo.
Diviso in tre parti (Repressione e Ragion di Stato; Resistenza e cambiamento; La reazione in Europa) il libro è anche un omaggio all’Egitto, inteso non come governo o come Paese-nazione ma come popolo, con tutte le sue varie istanze di espressione e di liberazione e con le quali, inevitabilmente, tutti questi ricercatori – Giulio Regeni compreso – si sono misurati.
Da questo punto di vista, suona paradigmatica la vicenda dello scrittore Ahmed Nagi, raccontata dalla ricercatrice di letteratura araba Teresa Pepe che rende conto di tutta la parabola persecutoria di cui questo letterato è stato oggetto, fino all’accusa nel 2016 di «violazione alla morale pubblica» e alla conseguente condanna a due anni di prigione per la pubblicazione del suo romanzo Vita: istruzioni per l’uso.
Scrive Pepe, tracciando un parallelo con la vicenda Regeni: «La ricostruzione del caso Nagi chiarisce come, anche nel caso della letteratura, sia essenziale tenere conto della realtà esterna al testo, del contesto sociale, delle relazioni di potere che si insinuano nel campo dello studio, delle storie personali delle persone che incontriamo, dei luoghi in cui si muovono, nonché delle conseguenze dei nostri scritti sulle loro vite». In sostanza, la vicenda Regeni ha costretto il mondo della ricerca internazionale a fare meglio i conti con una serie di variabili prevedibili, ma finora mai saggiate in pieno: ossia con le resistenze dei governi ove la ricerca ha luogo, e con le misure che questi governi prendono per prevenirla, ostacolarla, silenziarla (accanto a quella di Giulio Regeni, ci sono vicende dagli esiti meno tragici, ma comunque allarmanti: lo scorso anno, ad esempio, un ricercatore di nazionalità britannica è finito per lungo tempo in prigione negli Emirati Arabia Uniti). Da questo punto di vista, il saggio di Paul Starkey, vicepresidente della British Society for Middle Eastern Studies, è fondamentale. Starkey ricostruisce nel dettaglio le reazioni nel Regno Unito tanto della stampa quanto del mondo accademico dopo la morte di Regeni. Senza dubbio quell’assassinio è uno spartiacque sia nella modalità di conduzione della ricerca sia nel rapporto tra accademia e istituzioni politiche e ancora tra accademia e opinione pubblica.
A prescindere dalla ricostruzione piena della verità su questo omicidio, chiesta sempre a gran voce dalla famiglia del ricercatore italiano, e a prescindere anche dalle ipotesi attualmente più accreditate, una cosa è certa, conclude Starkey nel suo saggio: «Possiamo solo sperare che la conclusione dell’affaire Regeni non si dimostri un altro caso di vita che imita l’arte». Vale a dire che la realtà non dia ragione al romanzo di Tawafiq al-Hakim che, nel 1938, in Diario di un procuratore di campagna, immaginava un assassinio mai giunto all’identificazione del colpevole perché «il ma’mur (il magistrato inquirente – ndr) e tutti i suoi agenti erano immersi fino ai capelli nella falsificazione dei risultati elettorali».
Lorenzo Casini – Daniela Melfa – Paul Starkey (a cura di)
Minnena
L’Egitto, l’Europa e la ricerca dopo l’assassinio di Giulio Regeni
Mesogea, Messina 2020
pp. 240 – 15,00 euro