Dopo due settimane di proteste, di occupazione di piazze e strade, la crisi libanese sembra imboccare una nuova fase. Che potrebbe però riservare ancora maggiori incertezze al Paese. Il primo ministro libanese, Saad Hariri, ha annunciato ieri le sue dimissioni, una mossa che a molti sembra quasi una resa in un Paese paralizzato dalle continue crisi politiche.
L’annuncio del premier è arrivato dopo che, nelle ultime ore, la protesta aveva imboccato una strada violenta, con saccheggi e atti vandalici per le vie centrali di Beirut. Hariri, che nelle ultime settimane ha cercato di venire incontro alle proteste di piazza varando una serie di riforme e di tagli alla spesa, ha affermato che, con il suo gesto, intende dare uno choc positivo al Libano.
Le proteste degli ultimi giorni hanno ulteriormente aggravato la crisi del Paese, sull’orlo di un collasso economico che potrebbe paralizzare la vita civile e il sistema bancario, con conseguenze inimmaginabili.
In un vicolo cieco
Resta comunque sul tappeto la profondità della crisi libanese, che risiede, secondo molti osservatori, soprattutto nel sistema politico: quella «democrazia accomodata» che per anni ha garantito la rappresentanza delle varie componenti, ma che alla fine ha favorito una forma spinta di consociativismo e alimentato la corruzione.
La scelta di Hariri di rassegnare le dimissioni ha come principali oppositori gli esponenti sciiti delle milizie Amal e del movimento Hezbollah. Il leader di quest’ultimo, Hassan Nasrallah – la personalità più potente in Libano, benché non rivesta alcun incarico istituzionale –, ha messo in guardia gli esponenti delle altre forze politiche circa i rischi che il Paese corre se saltano gli equilibri interni. Anche i sostenitori di Hariri nutrono dubbi circa la mossa del premier, che però potrebbe togliersi di torno proprio per garantire la possibilità che non venga smantellato il sistema di spartizione del potere.
Quale possa essere l’alternativa a Hariri non è dato sapere. Quel che è certo è che alla piazza il «sacrificio» del primo ministro potrebbe non bastare. L’obiettivo, come ripetono con insistenza i dimostranti, è tutto il sistema. «Hariri ha fatto il primo passo – spiegano sui social che hanno rilanciato le tesi della protesta –. Gli altri politici dovrebbero avere la dignità di fare altrettanto».