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Elezioni alle porte per i palestinesi?

Terrasanta.net
30 settembre 2019
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Elezioni alle porte per i palestinesi?
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen) al podio dell'Assemblea generale Onu il 26 settembre 2019. (foto UN/Cia Pak)

Nei giorni scorsi, all'Onu, il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha espresso la volontà di indire le elezioni. Se ne parla da anni. Sarà la volta buona?


(g.s.) – Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) ha annunciato il 26 settembre scorso, dal podio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la sua volontà di convocare gli elettori palestinesi a nuove elezioni. La data, ha detto Mahmoud Abbas, dovrebbe essere fissata in questi giorni, dopo il suo rientro a Ramallah da New York. Il discorso pronunciato al Palazzo di Vetro lascia qualche punto oscuro: mentre negli ultimi anni nei Territori Palestinesi si sono regolarmente svolte le elezioni amministrative comunali, sia il parlamento sia il presidente sono, di fatto, in regime di prorogatio. Le prossime elezioni saranno politiche o presidenziali? Oppure entrambe le cose?

L’ultima volta che il popolo palestinese andò a votare per il parlamento fu nel gennaio 2006, mentre per il presidente occorre risalire a un anno prima. Entrambi gli organi fanno parte dell’architettura istituzionale dell’Anp, stabilita con gli Accordi di Oslo del 1993 e, di regola, dovrebbero avere durata quadriennale (termine temporale fin qui non rispettato). La prima legislatura del Consiglio legislativo palestinese – il parlamento – ebbe inizio nel 1996 e si concluse nel 2006.

Nel momento stesso in cui Abbas rendeva note le sue intenzioni, metteva anche le mani avanti circa i possibili intralci: «Chiedo all’Onu e alle più rilevanti organizzazioni internazionali di monitorare queste elezioni; da parte mia attribuirò ogni responsabilità a chiunque cercasse di impedirne il regolare svolgimento alla data fissata». Segno che neppure Abu Mazen crede davvero che sarà questa la volta buona per l’espressione del voto democratico in Palestina, già ripetutamente annunciato come imminente nell’arco degli ultimi anni?

Gli altri temi sul tappeto

L’intervento all’Onu dell’84enne presidente ha toccato altri temi, e ribadito posizioni già note: i dirigenti palestinesi sono pronti a negoziare con Israele, ma dicono di non trovare dall’altra parte alcun interlocutore credibile (accusa speculare a quella che il governo israeliano rivolge ai vertici dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina); la mano palestinese rimane tesa verso chi volesse stringerla, ma senza che ciò implichi la rinuncia al diritto di far valere le proprie ragioni; la soluzione dei due Stati sovrani in Terra Santa (Israele e Palestina uno accanto all’altro) resta valida; la politica dell’amministrazione Trump ha appiattito gli Stati Uniti sulle posizioni di Israele, rendendo così Washington un mediatore inaffidabile per i palestinesi, che chiedono un’iniziativa allargata della comunità internazionale.

Infine – ha detto Mahmoud Abbas – tutti gli accordi raggiunti tra Olp e Israele decadrebbero se il prossimo governo di Israele dovesse dar corso all’intento dichiarato da Benjamin Netanyahu – alla vigilia delle elezioni del 17 settembre scorso – di annettersi alcuni dei territori palestinesi ai confini con la Giordania insieme ad aree occupate dagli insediamenti in Cisgiordania.

Poche ore prima del discorso di Abu Mazen a New York, il premier uscente Netanyahu a Gerusalemme riceveva dal presidente Reuven Rivlin l’incarico di provare a formare un nuovo governo per lo Stato ebraico.

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