(g.s.) – È sempre lei Gerusalemme. Siamo nella zona di Wadi al-Hummos a ridosso di Sur Baher, un sobborgo palestinese dei quartieri orientali. Il 22 luglio 2019 i genieri dell’esercito israeliano cominciano a demolire 70 edifici costruiti senza autorizzazioni edilizie (che l’amministrazione israeliana tende a non concedere ai palestinesi) e troppo vicini al muro di separazione che il governo dello Stato ebraico ha fatto costruire nei primi anni di questo millennio, decidendone unilateralmente il tracciato.
Non poche famiglie rimaste senza tetto, e invogliate a trasferirsi altrove, dicono di aver tirato su le loro case con il permesso delle autorità legittime, in un’area che fa parte dei Territori palestinesi occupati secondo gli standard della comunità internazionale.
I politici palestinesi si sono affrettati a definire gli abbattimenti come un nuovo crimine di guerra israeliano. Critiche sono giunte da vari governi oltre che dall’Unione Europea, dalla Lega Araba, dalle Nazioni Unite. Al Palazzo di Vetro di New York, il veto degli Stati Uniti ha impedito al Consiglio di Sicurezza di approvare una risoluzione di condanna.
Come estrema forma di protesta, il 25 luglio il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha annunciato la sospensione di tutti gli accordi di collaborazione in corso con lo Stato di Israele.