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Quando haredi è trendy

Alessandra Abbona
18 giugno 2019
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Quando haredi è trendy
Eviatar Banai in un concerto a Tel Aviv

Cantanti di talento della scena israeliana sono anche ferventi religiosi, specchio delle trasformazioni del Paese. Ma il loro successo trasversale unisce comunità e generazioni diverse.


La crescita di un’ortodossia religiosa è un fenomeno che non possiamo attribuire a una specifica religione, ma oggi si percepisce in modo evidente sia nel mondo islamico sia nel mondo ebraico. Negli ultimi due decenni in particolare, così come nei Paesi arabi mediterranei e nelle comunità di fede islamica in Europa si sono moltiplicati i capi femminili coperti (che sia l’hijab o un altro elemento di abbigliamento che copre capelli e corpo), anche in Israele sono spuntati numerosi i negozi di tichel, il foulard annodato e rigonfio sulla nuca, simile al tuppo della brioche siciliana, che portano le donne ebree religiose. Il tichel fa oggi tendenza, ve ne sono di mille fogge e colori, spessori, fantasie. Ed è di grande moda tra le giovani ebree osservanti.

Spesso è proprio osservando il mutamento dei costumi femminili che cogliamo alcuni segnali: ad esempio, in Israele è proporzionalmente in aumento la popolazione haredi, gli ultraortodossi che hanno un peso crescente nella vita dello Stato ebraico.

Gerusalemme ormai presenta una rete di quartieri a predominanza religiosa: oltre allo storico Mea Shearim – un pezzo di Europa centrale del XVIII secolo accanto ai bastioni della città vecchia -, ecco il più alla moda Sha’arei Hesed, luogo deputato delle nuove generazioni di ricchi ortodossi nordamericani ed europei che hanno fatto aliyah negli ultimi decenni, e poi Ramot, un insediamento israeliano in territorio palestinese nella parte orientale della città, ad altissimo tasso di haredim. Vi sono poi intere città ormai totalmente secular-free, ossia esclusivamente abitate da ebrei haredi e persino governate da sindaci e amministratori ultraortodossi, come Bnei Brak e Bet Shemesh.

Anche il mondo della musica risente di questa tendenza e si moltiplicano i musicisti che si ispirano a tematiche spirituali e religiose. Spesso provengono già da contesti familiari haredi, altre volte si tratta di ebrei secolarizzati che per scelta ridiventano strettamente osservanti, ossia baal teshuva (letteralmente, colui che ritorna a Dio). In larga parte si tratta di cantautori uomini, alcuni dei quali veri talenti, che riuniscono nel loro pubblico più generazioni e fan della più varia estrazione, molti dei quali ebrei laici.

Il successo di Banai

Entrare nel pianeta della musica pop israeliana è un’avventura: nonostante il Paese sia di dimensioni ridotte, la scena musicale è quanto di più sfaccettato si possa immaginare e annovera artisti di grande spessore e qualità. Il più trasversalmente amato è Eviatar Banai, classe 1973 da Be’er Sheva, polistrumentista dalla voce vellutata, proveniente da una storica famiglia di ebrei iraniani e con una spiccata vena artistica (zii, cugini, fratelli e sorelle sono in gran parte cantanti e attori di successo). Banai, come molti giovani israeliani, ha studiato, fatto il servizio militare e poi, per staccare la spina, ha scelto di viaggiare lungamente in India, quindi soggiornare a New York. Qui ha conosciuto una ragazza danese che, per amore, si è convertita alla fede ebraica e si è trasferita con lui a Gerusalemme, dove gli ha dato cinque figli.

Autore di canzoni che sono un patrimonio intergenerazionale e nazionale (come Ad machar e Tacharut Klavim), Banai è diventato un baal teshuva verso la metà degli anni 2000, scegliendo di seguire strettamente le regole vestimentarie, di osservanza e pratica religiosa. Le sue ballate contengono marcati riferimenti alla sua vita di ebreo religioso e sono legate a un filone fortemente spirituale: ci consegnano un messaggio universale e i musicisti che lo accompagnano durante i numerosi tour in Israele sono tra i migliori professionisti del Paese.

Con le frange del tallit, lo scialle di preghiera, che spuntano delle sue classiche camicie scure, e la kippah in testa, Banai solca i palchi degli auditorium e dei club più importanti di Israele, raccogliendo folle che da anni conoscono a memoria le sue canzoni. Banai è un artista di enorme talento che mette tutti d’accordo: dai giovani alternativi di sinistra del contesto urbano di Tel Aviv agli ebrei osservanti gerosolimitani. E che ama collaborare con gli artisti più diversi (dal rock al folk) e prestigiosi: a partire dal cugino Ehud Banai, a Berry Sakharof, da Dudu Tassa, a Tamir Muskat e Aviv Geffen.

Razel e Ribo, gli eredi

Ma non solo: è anche un mentore per altri artisti haredi, come Yonatan Razel, un ebreo newyorchese ortodosso trasferitosi da bambino con la famiglia in Israele. La musica è stata per lui una tradizione di famiglia: i genitori lo hanno sempre spinto a valorizzare la sua passione, infatti Razel è pianista, violoncellista, compositore, arrangiatore. Il suo primo album importante, All in All, è uscito nel 2007 proprio sotto la produzione di Eviatar Banai. Senza dubbio Razel è un cantautore di successo, ma il suo stile e le sue interpretazioni non raggiungono la spontaneità e il carisma del suo maestro di Beer Sheva. Nel dicembre 2017, inoltre, è salito all’onore delle cronache per un episodio surreale. Nel corso di un suo concerto a un festival per donne ultraortodosse, per evitare la vista di alcune sue fan danzanti sotto il palco, Razel si è coperto gli occhi con un nastro adesivo nero. Il fatto non è passato inosservato ed è stato reputato estremo persino dagli ambienti più tradizionalisti.

Vi è poi un giovane emergente, Ishay Ribo, nato in Francia da ebrei tunisini, che hanno fatto aliyah quando era giovanissimo. Ribo rappresenta la nuova generazione erede di Banai, del quale condivide la particolarità della voce e dei suoni felpati. In questi ultimi mesi sta progressivamente conquistando platee di giovanissimi (e non solo studenti di yeshiva) e intraprendendo tour anche in Francia e negli Stati Uniti. Le sue canzoni sono venate di spiritualità, con ricorrenti riferimenti al Signore, ma vengono apprezzate da un pubblico misto. Pur affiancandosi, con collaborazioni, a nomi storici della musica ortodossa come Shuli Rand, Avraham Fried, Ariel Zilber, e pur essendo orgoglioso di essere un cantante religioso, Ribo è cosciente di avere un folto seguito anche tra chi è laico. Il giovane ebreo franco-tunisino incarna il nuovo volto della società israeliana oggi: sempre meno laica, sempre meno kibbutzim e socialista, sempre meno radicata nella storia degli europei askenaziti. Più orientale, pervasivamente religiosa e organizzata «a compartimenti stagni». Segno dei tempi? Perlomeno in musica, però, certe separazioni sono meno nette.

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