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Pio, il frate dell’8 settembre

Giuseppe Caffulli
6 aprile 2006
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Pio, il frate dell’8 settembre
Fra Pio D'Andola a Tabgha, sulla riva del lago di Tiberiade (Israele).

Il Commissario di Puglia e Molise racconta la storia della sua vocazione nata sotto il manto della Vergine e l'amore per la Terra Santa.


Padre Pio ti sciorina il suo biglietto da visita tutto singolare e non puoi fare a meno di sorridere: «Classe 1931, frate minore, sacerdote, musicista, teologo, dottore in Scienze naturali, radioamatore e geometra».

Ma non è vanagloria. «Tutto serve per dare lode e gloria al Signore che si serve dei semplici e degli umili per compiere le sue meraviglie», aggiunge subito. «Chi ha ricevuto dei doni, deve metterli al servizio del regno di Dio».

Padre Pio D’Andola è Commissario di Terra Santa delle Puglie e del Molise. La sede si trova presso il convento della Madonna della Vetrana a Castellana Grotte, provincia di Bari, un luogo che d’estate si colora di verde e di fiori. «La Puglia – attacca subito – è terra privilegiata e benedetta. San Francesco, tornando dal suo viaggio in Terra Santa, sbarcò a Brindisi per passare dalla grotta dell’arcangelo Michele sul Gargano. La sua particolare benedizione ha permesso il fiorire di tante vocazioni alla vita francescana con l’amore particolare per la terra del Signore». Ma chi è padre Pio D’Andola? «Il mio vero nome è Gaetano. Volturino, il mio paese d’origine, si trova a circa 750 metri d’altitudine, sulla strada che porta da Foggia a Campobasso. Quando ero bambino credo contasse poco più di mille abitanti. Come si usava allora, la mia famiglia era conosciuta con un soprannome: “quelli dell’8 settembre”. Eravamo talmente numerosi da ricordare la lunga serie delle statue dei santi che accompagnavano la solenne processione della Madonna che si faceva in occasione della Natività di Maria. Anche per questo sono particolarmente devoto alla mamma di Gesù. Papà faceva il sarto e aveva un negozietto di merceria. Non mancava mai alla messa. Posso dire con certezza che la mia chiamata a seguire Gesù è passata dalla vita, dalla fede, dalla voce di papà Pa­ squale».

La svolta nella vita di Gaetano arriva una sera, dopo il vespro. E ha l’aspetto e il saio ruvido di un frate. «Padre Giacomo Melillo, ora 92 anni e ancora lucidissimo, passeggiava quella sera nei pressi di casa mia. Mio padre lo salutò e bastò un suo sorriso per soggiogarmi. Il 9 ottobre del 1941 entravo nel Collegio serafico di Ascoli Satriano (Foggia), dove mi accolse proprio padre Giacomo. Tempo qualche mese e mi accorsi, come capitò anche a padre Agostino Gemelli, di essere nato francescano».

A quindici anni («su un carretto trainato da un mulo»)  Gaetanino, come lo chiamavano, raggiunge il noviziato dei frati minori a Casacalenda (Campobasso). Affascinato dalla figura di Papa Pacelli, il ragazzo di Volturino sceglie come nome religioso quello del grande Pontefice. «Qualche anno dopo sono passato al convento di San Matteo apostolo a San Marco in Lamis, vicino a San Giovanni Rotondo, dove allora viveva il frate stigmatizzato del Gargano. Furono tanti e toccanti gli incontri con padre Pio. Una volta, in un bellissimo dialetto paesano, mi apostrofò così: “Ah! mbè, guagliò: pùrtete buono e num me fa’ scumparì, sennò càgnete nomme” (“Ah bè, ragazzo! Comportati bene, e non farmi fare brutta figura. Piuttosto, càmbiati il nome!”). Ora so che la brutta figura la farei io: lui è san Pio mentre io sono soltanto padre Pio». Dopo l’ordinazione sacerdotale, padre D’Andola si laurea in Scienze naturali, diventa radioamatore e consegue il diploma di geometra. E poi il lavoro con i giovani francescani in formazione, perché con i ragazzini il vulcanico padre ci ha sempre saputo fare.

Nel 1985 avviene la seconda svolta nella sua vita: il primo viaggio in Terra Santa. «Mi sono innamorato di tutto ciò che si riferisce a quella terra benedetta e martoriata. Da allora collaboro strettamente con la Delegazione di Roma, sia per la guida di pellegrini, (cento i gruppi guidati, per oltre tremila pellegrini) sia per l’organizzazione logistica di programmi. Ma anche da geometra e radioamatore mi sono dato da fare: ho passato diversi mesi sia a Nazareth che a Gerusalemme per sistemare impianti di amplificazione in chiese, impianti tivù e collocazione di cavi per Internet nello Studium Biblicum Franciscanum». Oggi attorno al Commissariato delle Puglie ruotano anche gruppi di volontari: «Insieme a loro mi reco in Terra Santa a potare gli alberi, a sistemare impianti elettrici e idrici, a realizzare opere murarie. Il daffare non manca».

Il lavoro del frate «dell’8 settembre» si muove oggi  soprattutto sul versante dell’animazione: «Si fa sempre più pressante il bisogno di stimolare nuove vocazioni di giovani per la Terra Santa. E gli stessi pellegrini che ne hanno fatto esperienza, potranno aggiungere e raccontare la gioia di avere riscoperta la fede, rivivendola nel pellegrinaggio della vita».

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