Nessun altro luogo al mondo è associato a tante emozioni, a tante attese, a tante ipotesi simboliche quanto Gerusalemme. A cominciare dal nome stesso, che spesso i padri della Chiesa, a causa di alcune assonanze nella lingua ebraica, ritennero significasse «visione di pace». Gli ebrei dal canto loro si interrogarono talvolta sulla sua desinenza («-aim») che è tipica del duale, vedendovi un’allusione alla duplice natura della città, quella dei cieli e quella della terra; o più recentemente alle due popolazioni, ebraica e araba, che sono chiamate a viverci e a darle il tono.
Tanta presenza nelle menti e nei cuori significa spesso anche grandi delusioni e grandi angosce, quando la «Visione di pace» e la città duale si scontrano con la realtà. Sotto gli occhi di tutti è la divisione fra ebrei e arabi; meno note sono le divisioni interne a queste società: nel mondo ebraico fra destra e sinistra, fra religiosi e no, fra originari dell’Europa centrale e dei Paesi arabi, fra antichi residenti e nuovi immigrati. Contrasti che talora si esprimono con forza tale da far pensare (e sperare) ad alcuni del mondo arabo che lo sfaldamento della società israeliana sia solo questione di tempo. Il mondo arabo, dal canto suo, conosce divisioni spesso feroci fra diverse famiglie e clan, fra originari di Gerusalemme e di Hebron, fra persone che lavorano con Israele e persone che vedono ciò come un tradimento: senza dimenticare i contrasti fra maggioranza musulmana e minoranza cristiana.
Tutte realtà che ogni tanto esplodono senza peraltro impedire un’esistenza spesso anche ricca e gioiosa.
E i cristiani? Molti sono legati a questo Paese da un vincolo affettivo che non permette loro di immaginare se stessi altrove; molti ritengono un privilegio speciale l’essere cristiani a Gerusalemme. Ma anche per loro la realtà è fitta di problemi: problemi economici per il presente e per il futuro, di alloggio, di convivenza con la parte non cristiana. Tutto ciò da decenni li spinge all’emigrazione. Ora essi sono ridotti a meno di diecimila in una città di oltre seicentomila abitanti. Ma un tessuto sociale cristiano esiste e ha una sua vitalità. Al suo interno la convivenza fra membri di Chiese diverse è generalmente fraterna. Ciò va specificato, perché ci fu un tempo (solo di qualche decennio fa) in cui un matrimonio fra una parte cattolica e una parte ortodossa era accompagnato da campane a morto. Ora tali possibilità sono normali, come è normale mandare i figli a una scuola di una confessione cristiana diversa.
Certo, le tensioni possono esistere, anche entro una stessa Chiesa. Ma esse sono tanto più presenti quanto più si sale nella scala gerarchica e nella condivisione dei luoghi: è dunque minima nella vita quotidiana e massima nelle celebrazioni solenni della basilica del Santo Sepolcro.
A fine gennaio si offre una delle grandi occasioni di incontro fra cristiani: la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Qui a Gerusalemme viene celebrata in chiese diverse per otto giorni, più un giorno all’inizio che potremmo definire ufficioso. Da alcuni anni ha assunto un carattere sempre più popolare e ha dato luogo a veri e propri strumenti di accoglienza da parte delle Chiese. Un piccolo segno la cui maggiore significatività sta a sua volta nelle sfumature. Un proverbio ebraico dice pressappoco che passo dopo passo si fa il giro del mondo.
Varrà la pena parlarne nel prossimo numero.
(L’autore è monaco di Bose a Gerusalemme)