Nelle tavole della Legge Dio offre agli uomini un sentiero per camminare nel bene e per sconfiggere gli idoli.
Per ben tre volte, all’interno del libro del Pentateuco (Dt 5,6-21, Es 24,3 ss), troviamo il racconto della consegna delle tavole della legge, tavole su cui sono scolpite le dieci parole che il Dio che ora ha un nome – Io sono colui che è presente – dona al popolo liberato dalla schiavitù. È difficile parlare di peccato ai nostri tempi: un lungo passato in cui si è rischiato di mettere la trasgressione e la disobbedienza al centro della predicazione della Chiesa ha ottenuto, come risultato, una reazione di chi minimizza o nega del tutto il peccato. Come sempre siamo chiamati ad evitare due eccessi: l’eccessiva rilevanza del peccato nella vita del credente o la sua ingenua rimozione falsano l’approccio alle verità profonda delle cose.
Nella Bibbia la parola «peccato» significa primariamente «fallire il bersaglio», come chi scocca la freccia sbagliando clamorosamente il centro. Dio ci ha creati, sa come funzioniamo, sa cosa veramente ci rende felici e noi, invece di fidarci di Lui, decidiamo di testa nostra cosa è la felicità. Il male, nella Bibbia, non è trasgredire a un ordine, ma agire allontanandosi dal proprio bene. Ovviamente in gioco c’è sempre la nostra libertà: il peccato si presenta sempre come un ipotetico bene, si maschera sempre da cosa positiva per poterci ingannare: nessuno di noi berrebbe da un bicchiere con l’etichetta «veleno»! Il peccato è male non perché l’ha deciso Dio, ma perché ci fa del male e Dio, che lo sa, ci invita a seguire i suoi consigli. L’umanità si comporta come un eterno adolescente che guarda sospettoso chi impone delle regole e i risultati si vedono. Oggi ci siamo finalmente liberati dall’opprimente morale cattolica: tutto sommato ognuno gestisce la propria vita privata senza grosse interferenze. Non mi pare che questa ipotetica «liberazione» abbia prodotto maggiore serenità e gioia…
La dicitura originale della pagina in esame parla di «parole», parole che Dio dona al suo popolo, cartelli indicatori che mostrano il sentiero verso la pienezza. Se decidiamo di ignorarle e di fare di testa nostra, affari nostri, Dio ammonisce che non riuscirà a intervenire se ci allontaniamo dal percorso che egli ci indica. La Parola ci restituisce un Dio adulto che ci tratta da adulti, che collabora al nostro bene.
Il peccato più che essere un’offesa a Dio è un’offesa alla splendida idea che egli ha di noi: siamo chiamati ad essere delle aquile e ci accontentiamo di razzolare in un pollaio… Rileggendo le dieci parole non possiamo, a partire dalle nostre esperienze di vita, che condividere quanto indicato dai consigli di Dio: mettere Dio al centro della vita senza idolatrare noi stessi o i tanti idoli della contemporaneità, non tirare in ballo Dio invano, manipolandolo, coltivare la dimensione della festa e della gratuità, coltivare l’onore e il rispetto nei rapporti famigliari, scegliere di essere pacifisti e pacificatori, di escludere la violenza, mirare a una sessualità adulta e matura, evitare di rubare e conservare la dignità, essere autentici nei rapporti con gli altri, non confrontarci con le altre persone perché pezzi unici, sono anche, umanamente, percorsi che ci possono portare a una serenità di fondo e a una saggezza di vita feconda.
(L’autore è sacerdote della diocesi di Aosta e curatore del sito Internet Tiraccontolaparola.it)