Di tutto ha bisogno la Terra Santa di oggi tranne che della retorica degli eroi. Eroi che resistono, scavano tunnel e si scagliano contro l’esercito israeliano. Eroi che ribattono colpo su colpo alle azioni militari palestinesi e agli attacchi suicidi, mostrando i muscoli anche contro la stragrande maggioranza della popolazione indifesa. Eroi che alimentano una mistica di violenza e sogni distorti, dove l’annientamento del nemico è presentato come l’unica religione possibile.
A chi giova tutto questo? Non posso fare a meno di chiedermelo mentre scorro nei giorni della nuova escalation a Gaza le pagine dei giornali israeliani e palestinesi, pieni di retorica e proclami, sì, ma anche specchio della sincera voglia di pace di gran parte della popolazione. Militarizzare la Striscia, spingere nuovamente nell’illegalità Hamas, mettere in catene i suoi ministri trasformandoli in martiri, serve davvero alla sicurezza d’Israele? Intralciare l’accordo tra al-Fatah e Hamas, sul cosiddetto «documento dei detenuti» (che prevede un riconoscimento, sebbene indiretto, d’Israele) è davvero una strategia utile? O apre la strada a nuovo sangue?
La Terra Santa di oggi ha bisogno piuttosto di uomini capaci di resistere alla sete di vendetta, di potere e di affermazione personale, anti-eroi (questi sì utili) capaci di sconfiggere soprattutto il male e la violenza che ci opprime; che non si «sottraggano al dovere di costruire una convivenza pacifica» lavorando per la giustizia; che sappiano guardare oltre i muri per riconoscere – come ha esortato Benedetto XVI nell’Angelus del 2 luglio – «che ogni uomo, a qualsiasi popolo appartenga, è fratello».