Il giorno dopo la conclusione della Conferenza internazionale di Roma sul Medio Oriente, mons. Giovanni Lajolo, in una intervista alla Radio Vaticana, commenta i risultati ottenuti e la delusione per il mancato raggiungimento di un cessate-il-fuoco immediato tra Israele e milizie Hezbollah.
Delusione per il mancato raggiungimento di un cessate-il-fuoco immediato, ma anche riconoscimento degli sforzi fatti e dei passi avanti in merito agli aiuti umanitari e alla volontà comune di dispiegare nel sud del Libano una forza internazionale sotto l’egida dell’Onu. Infine la necessità che vengano messi in atto tutte le strategie per arrivare ad una soluzione del conflitto e per garantire l’unità e la sovranità del Libano. Sono questi i punti salienti di una intervista rilasciata oggi alla Radio Vaticana da mons. Giovanni Lajolo, segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato della Santa Sede, in merito alla Conferenza Internazionale per il Libano, svoltasi ieri a Roma. La Santa Sede ha partecipato alla Conferenza in qualità di Osservatore. Ecco il testo dell’intervista.
Si è svolta ieri la Conferenza Internazionale per il Libano su iniziativa degli Stati Uniti d’America e dell’Italia, a cui hanno partecipato il «core group» sul Libano ed altri Paesi. La Sala Stampa della Santa Sede ha annunciato che anche una Delegazione da Lei guidata era presente, in qualità di Osservatore. Ci può spiegare questa circostanza?
Come è noto, la Santa Sede è direttamente interessata alla pace nel Medio Oriente, come essa, in molteplici occasioni, ha dimostrato. Ieri, su invito degli Stati Uniti e dell’Italia, ha potuto partecipare a questa Conferenza in qualità di Osservatore; per la sua propria natura, è questa la veste con la quale la Santa Sede normalmente partecipa nelle Organizzazioni Internazionali.
Qual è la Sua valutazione sulla Conferenza?
È certamente positivo che sia stata convocata con tanta rapidità su iniziativa del governo italiano, e che abbia focalizzato la sua attenzione sui più urgenti temi del momento.
Le conclusioni riportate nella Dichiarazione dei due Co-Presidenti, il segretario di Stato USA, Signora Condoleeza Rice, e il ministro degli Esteri italiano, On. Massimo D’Alema, sono state però giudicate piuttosto deludenti. Qual è la Sua opinione in merito?
Certo, le aspettative dell’opinione pubblica erano grandi, ma per gli addetti ai lavori, che conoscono le difficoltà, si può forse dire che i risultati sono apprezzabili. Vorrei rilevare soprattutto questi aspetti positivi:
1. Il fatto che Paesi di diverse parti del mondo, dal Canada alla Russia, si sono riuniti nella consapevolezza della gravità di quanto accade in Libano, riaffermando la necessità che esso recuperi quanto prima la sua piena sovranità, e si siano impegnati a fornirgli il proprio aiuto.
2. La richiesta che si formi una forza internazionale, sotto mandato delle Nazioni Unite, che sostenga le forze regolari libanesi in materia di sicurezza.
3. L’impegno per un aiuto umanitario immediato al popolo del Libano e l’assicurazione di un sostegno alla sua ricostruzione con la convocazione di una Conferenza di Donatori. Diversi Paesi partecipanti hanno anticipato lo stanziamento di sostanziosi aiuti, ancora però insufficienti a coprire le enormi necessità del Paese.
4. Positivo è anche l’impegno preso dai partecipanti, dopo la chiusura ufficiale della Conferenza, di tenersi in continuo contatto circa gli ulteriori sviluppi che avrà l’intervento della comunità internazionale in Libano.
Che cosa però ha causato questa impressione di delusione?
Anzitutto il fatto che non si sia richiesta l’immediata cessazione delle ostilità. L’unanimità dei partecipanti non è stata raggiunta perché alcuni paesi sostenevano che l’appello non avrebbe sortito l’effetto desiderato, mentre si riteneva più realistico esprimere il proprio impegno per ottenere senza indugio la cessazione delle ostilità: impegno preso, e che può essere di fatto mantenuto.
È anche problematico che ci si sia limitati solo a invitare Israele ad esercitare la massima moderazione: tale invito riveste per natura sua una inevitabile ambiguità, mentre il riguardo per la popolazione civile innocente è un dovere preciso e inderogabile.
Qual è la valutazione del governo libanese?
Da un lato, il Primo Ministro Siniora ha avuto la possibilità di esporre tutta la drammaticità della situazione in cui versa il paese ed ha presentato un suo piano per il superamento immediato e definitivo del conflitto con Israele; d’altra parte ha potuto registrare e ulteriormente incoraggiare gli sforzi positivi che la comunità internazionale sta facendo per soccorrere la popolazione libanese, per porre fine alle ostilità, e per rafforzare il controllo del suo Governo sul paese.
Ieri pomeriggio il Primo Ministro Siniora, accompagnato dal Ministro degli Esteri Salloukh, ha chiesto d’incontrarsi con il Cardinale Segretario di Stato e con me. Ha espresso grande apprezzamento per l’impegno con cui il Santo Padre personalmente, e la Santa Sede, seguono il conflitto che sconvolge il Libano, e ha pregato di continuare ad appoggiare il suo paese in campo internazionale. Egli ha ricordato anche le parole di Papa Giovanni Paolo II, che definì il Libano, non solo un paese, ma «un messaggio», per tutti i popoli, di equilibrata convivenza tra diverse religioni e confessioni in uno stesso Stato. È questa, certo, la vocazione storica del Libano, che deve potersi realizzare. La Santa Sede continuerà ad adoperarsi con tutti i mezzi a sua disposizione perché il paese torni ad essere quel «giardino» del Medio Oriente che era prima.
Nella Sua qualità di Osservatore, ha avuto la possibilità di influire, almeno indirettamente sui lavori della Conferenza?
L’Osservatore non ha diritto di parola, e nemmeno essa mi è stata chiesta. Ritengo però che anche la presenza silenziosa dell’Osservatore della Santa Sede al tavolo dei Capi Delegazione abbia avuto un suo significato, chiaramente percepibile.
Dopo questa Conferenza, qual è la posizione della Santa Sede sul tema?
La Santa Sede resta per una sospensione immediata delle ostilità. I problemi sul tappeto sono molteplici ed estremamente complessi. Proprio per questo essi non possono essere affrontati tutti insieme; pur tenendo presente il quadro generale e la soluzione globale da raggiungere, bisogna risolvere i problemi per partes, incominciando da quelli che sono risolvibili subito. La posizione di chi sostiene che si debbano anzitutto creare le condizioni perché la tregua non venga ancora una volta violata, è di un realismo soltanto apparente: perché tali condizioni possono e devono essere create con altri mezzi che non siano l’uccisione di persone innocenti. Il Papa è vicino a quelle popolazioni, vittime di contrapposizioni e di un conflitto che sono loro estranei. Benedetto XVI prega, e con lui tutta la Chiesa, perché il giorno della pace sia oggi stesso e non domani. Egli prega Dio e supplica i responsabili politici. Il Papa piange con ogni madre che piange i suoi figli, con ogni persona che piange i suoi cari. Una sospensione immediata delle ostilità è possibile: dunque è doverosa.