Ogni giorno a Damasco decine e decine di musulmani si recano in preghiera sulla tomba del Saladino a pregare per il leader degli Hezbollah Hassan Nasrallah. In un Paese come la Siria, dove gli sciiti sono minoranza, il capo del Partito di Dio sta diventando una pericolosa icona della restistenza anti-israeliana.
(g.c.) In un sacello, sul lato della maestosa moschea degli Omayyadi è un continuo via vai di folla. Non c’è musulmano infatti che, visitando Damasco, non si rechi a rendere omaggio alla tomba del Saladino (al secolo Salāh al-Dīn ibn Ayyūb, 1138-1193), il leggendario conquistatore di Gerusalemme nel 1187.
In queste settimane di guerra in Medio Oriente, il numero di visitatori è ulteriormente aumentato. Sulla tomba del condottiero decine e decine di siriani si recano a pregare nientemeno che per Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah libanesi. Non sono solo siriani sciiti, ma anche sunniti: a riprova che la guerra d’Israele un risultato almeno l’ha raggiunto, quello di compattare in un fronte unico le due famiglie musulmane normalmente divise da odi e da dissidi atavici. Addirittura nelle strade di Damasco, la capitale a maggioranza sunnita, l’effige di Nasrallah ha preso il posto, accanto ad Assad padre e figlio (l’attuale presidente), dello scomparso Basel, il primogenito degli Assad destinato a succedere al padre e tragicamente scomparso nel 1998. E per le strade delle maggiori città della Siria non è raro trovare ragazzi che indossano T-Shirt con la faccia del leader di Hezbollah, con la stessa disinvoltura con cui da noi si indossano magliette con la faccia di Che Guevara.
Per la folla araba musulmana, sulla quale le tivù satellitari rovesciano ogni secondo le immagini della tragica guerra libanese, Nasrallah rischia di diventare qualcosa di più del leader di una fazione combattente: «È il nuovo Saladino, un condottiero audace che saprà far rinascere la gloria del popolo arabo», spiega all’agenzia Middle East On Line un signore di mezza età appena uscito dal santuario.
Buona parte dell’opinione pubblica siriana – ci spiega una fonte locale – aveva manifestato sentimenti di condanna per l’attacco del commando Hezbollah in territorio israeliano, l’uccisione e il rapimento dei soldati israeliani. Ma la reazione di Tel Aviv, le centinaia di vittime civili, la durezza dei bombardamenti e l’ondata di profughi che si sta riversando fuori dal Libano, hanno riavvicinato la gente comune al movimento sciita. «Se la strategia dei bombardamenti su Beirut era quella di provocare una reazione del popolo libanese contro Hezbollah, siamo di fronte ad un fallimento. Un fallimento ancora più evidente dal momento che questi combattenti, da pericolosi terroristi, sono diventati per molti i soli difensori della terra araba contro il cosiddetto imperialismo sionista».