Stanno di nuovo girando l'Italia con il loro Beresheet. Dopo alcune repliche nel parmense, il 10 ottobre lo spettacolo di mimi e danze dei ragazzi ebrei e palestinesi del Teatro Arcobaleno è andato in scena all'Arsenale della pace del Sermig di Torino. Ad accompagnarli, come sempre, la regista e fondatrice della compagnia, Angelica Calò Livné. Tra un pubblico attento e partecipe c'eravamo anche noi.
(c.t.) – Sono arrivati martedì sera 10 ottobre a Torino, dopo una settimana di tournée nei comuni del parmense: 14 giovani, israeliani e palestinesi, del Teatro Arcobaleno si sono esibiti all’Arsenale della pace del Sermig. Nella struttura in cui un tempo si costruivano armamenti è andata in scena la pace. Più che uno spettacolo hanno offerto un’esperienza di vita, dove l’accoglienza e il riconoscimento dell’altro nella sua diversità è accolto come ricchezza preziosa.
«Questi ragazzi arrivano dall’alta Galilea e il loro spettacolo non è mai fisso, cambia con l’esperienza vissuta dai protagonisti» spiega la regista Angelica Calò Livné «e quello di questa sera offre i segni della guerra di quest’estate, che è arrivata a casa di ognuno di noi. Abbiamo passato giorni e giorni chiusi nei rifugi e qui sono maturati i gesti e le parole che ora vanno in scena».
Lo spettacolo è particolarmente suggestivo: musica e mimi parlano il linguaggio universale dell’arte. Tutto è metafora, colori, luci, simboli… Tra questi si notano i simboli religiosi che sbucano dai costumi dei giovani attori: ebrei, cristiani e musulmani danzano insieme e lanciano un potente messaggio di armonia. L’odio e la chiusura all’altro è simboleggiato da una maschera sul volto, che cade man mano che cresce il dialogo e il riconoscimento del diverso.
Al termine della rappresentazione gli attori si siedono tutti sul palco e coinvolgono il pubblico in un botta e risposta che vuole lasciare un segno. I ragazzi ci tengono a spiegare il senso dello spettacolo: «il nostro è un teatro per prendere posizione, almeno con la danza e lo esportiamo perché altri coetanei, vedendoci, prendano coraggio nell’esporsi a difesa dei diritti e della pace».
Perché il titolo Beresheet («In principio»)? «Perché sono le prime parole della Bibbia e raccontano la creazione di un mondo in armonia dove l’uomo è chiamato ad essere collaboratore di Dio, capace di sviluppare i doni del Signore». Sono ragazzi disinvolti, che esprimono anche a parole quello che hanno capito e toccato con mano: «La violenza non porta da nessuna parte e non si vive più sicuri neanche in casa propria; costruiamo la pace e se andiamo controcorrente siamo felici di fare la strada insieme a tanti altri che hanno scelto questa via alternativa. La via della pace!»