«Nell'opera di Dio (...) vi è in ogni campo una grande diversità all'interno della più sontuosa unità». Jean-Mohammed Abd-el-Jalil - nato musulmano a Fez, in Marocco, nel 1904 e morto cristiano e francescano a Parigi nel 1979 - sembra racchiudere in questa frase l'esito della sua ricerca umana e intellettuale, nella quale due fedi e due culture si congiungono senza confondersi, in una singolare esperienza di vita e di pensiero. La sua vicenda e le sue intuizioni vengono oggi riproposte in un libro curato da Maurice Borrmans.
«Nell’opera di Dio (…) vi è in ogni campo una grande diversità all’interno della più sontuosa unità». In questa frase Jean-Mohammed Abd-el-Jalil – nato musulmano a Fez, in Marocco, nel 1904 e morto cristiano e francescano a Parigi nel 1979 – sembra racchiudere l’esito della sua ricerca umana ed intellettuale nella quale due nomi, due fedi, due patrie, due culture si congiungono senza confondersi, in una singolare esperienza di vita e di pensiero che ha molto da suggerire al dibattito attuale sulla questione del dialogo, tra cristianesimo e islam anzitutto, ma non solo.
La sua vicenda e le sue intuizioni, che lo avevano reso insigne protagonista della riflessione interreligiosa degli anni Sessanta del secolo scorso, vengono oggi riproposte nel libro, curato da Maurice Borrmans, Testimone del Corano e del Vangelo.
Oltre a fornire la bibliografia completa dei numerosi scritti del francescano marocchino, il volume propone due brevi ma efficaci sezioni antologiche: la prima, L’uomo, conduce il lettore alla scoperta della biografia di padre Giovanni Maometto attraverso una raccolta di testimonianze in prima persona e di quanti lo hanno conosciuto; la seconda, Il messaggio, raccoglie alcune delle pagine più significative dei suoi interventi che esplicitano le domande che hanno orientato la sua ricerca, illustrano il metodo con il quale ha cercato le risposte e rivelano i princìpi fondanti delle convinzioni alle quali è giunto.
Sono studi, pubblicazioni, interventi pubblici, lettere, resoconti di viaggi e di incontri in cui è ravvisabile come un filo rosso l’obiettivo che questo musulmano-cristiano ha perseguito per tutta la vita come personale vocazione: giungere a «spiegare compiutamente in modo sintetico e vivo i problemi che pongono le affinità e le differenze tra cristianesimo e islam» affinché, sulla base di una comprensione reciproca, sia possibile costituire un vero dialogo. Grazie alla competenza ed all’oggettività che nascono dalla capacità di coniugare esperienza vissuta e seria riflessione scientificamente condotta, questo intento non resta ridotto a indicazioni generiche o a riflessioni meramente teoriche, ma si traduce in lucide analisi capaci di fornire chiavi interpretative e concrete indicazioni metodologiche.
Ogni sforzo è orientato a consentire a un pubblico cristiano di comprendere l’Islam a partire da quello che viene definito il suo «cuore», ossia ciò che vi è in esso di più «primigenio», che determina la sua prospettiva sul mondo, sull’uomo, su Dio, che fonda i suoi principi e le sue convinzioni più intime e da cui discendono come corollari la sua spiritualità, il suo modo di pensare, di sentire, di agire, i suoi imperativi intellettuali e morali: «la rivendicazione a Dio solo del diritto di signoria e al culto, ossia al servizio dell’uomo, contro ogni idolatria».
Il percorso per giungere a questa autentica conoscenza si articola in tre tappe nelle quali si coniugano intelletto e carità: rendersi «ospiti interiori dell’altro» cercando di comprenderlo nella sua prospettiva, considerare con obiettività realistica «come esso sia e come vorrebbe essere» e accoglierlo con solidarietà, senza dissolvere le differenze in una finta identità dal sapore buonista e senza, d’altro canto, irrigidirsi in una contrapposizione sterile che trasforma la differenza in opposizione.
Per essere in autentico dialogo, dunque, bisogna imparare ad essere «altri» senza essere «contro». È questa idea che fa di Giovanni Maometto un mediatore culturale nel senso più proprio: l’appartenenza consapevole a due culture che restano reciprocamente «altre» gli consente di stare al confine tre i due mondi sentendoli entrambi come propri, amandoli entrambi e considerandoli perciò con quella profondità e con quella attenzione che sono la condizione imprescindibile per raggiungerne il senso più intimo e più vero nel quale si rivelano le potenzialità e i limiti delle culture e si palesano i fondamenti ultimi che ne definiscono le identità.