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L’oro verde dei Territori

01/12/2006  |  Milano
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L’oro verde dei Territori

Il 2006 ha offerto ai coltivatori palestinesi una messe abbondante di olive. In stagioni come questa la produzione di olio può arrivare a fino 35 mila tonnellate, che equivalgono a oltre un quinto dell'intera produzione agricola palestinese.Il ricavo potrebbe aggirarsi intorno ai 120 milioni di dollari. Se non fosse per le molte incognite che gravano sul processo che va dalla raccolta alla commercializzazione del prodotto finale. Gli ulivi piantati nei Territori sono oltre 9 milioni e coprono ben l'80 per cento delle terre coltivabili. In numero sempre maggiore, però, risultano inaccessibili ai loro proprietari a causa del conflitto israelo-palestinese e delle misure di sicurezza imposte dai militari israeliani.


Da sempre simbolo di pace e armonia universale, l’ulivo è anche fonte di speranza per una popolazione, quella palestinese, assediata da diversi mesi da una grave crisi economica. La sospensione degli aiuti della comunità internazionale ha inciso notevolmente sulle già precarie condizioni di vita di migliaia di persone che vivono nei Territori: oltre i due terzi della popolazione sono ormai ridotti in povertà. Si guarda perciò con fiducia ai benefici attesi dalla produzione dell’olio di oliva, che rappresenta per la regione una delle principali risorse.

Nelle annate di raccolto abbondante – come il 2006, dopo una stagione, quella del 2005, nettamente al ribasso – la produzione di olio può arrivare a 35 mila tonnellate, equivalente al 22 per cento della produzione agricola palestinese, con un ricavo di circa 120 milioni di dollari. Un’iniezione finanziaria di vitale importanza, frutto di un ciclo di lavoro intenso che coinvolge migliaia di persone.

Si calcola infatti che oltre la metà dei palestinesi partecipi all’intero processo produttivo. Il periodo che va dalla metà di ottobre alla metà di novembre ha visto insieme adulti e bambini impegnati a raccogliere i frutti degli oltre 9 milioni di ulivi disseminati nei Territori (queste piante coprono ben l’80 per cento delle terre coltivabili). La fase successiva, che va attuata in tempi abbastanza rapidi per ottenere una qualità più alta, è quella dell’estrazione dell’olio. Seguiranno il confezionamento e la vendita.

L’intero processo nasconde, però, molte incognite. Le continue restrizioni di movimento nei Territori, attuate dalle autorità israeliane «per motivi di sicurezza», rischiano infatti di impedire a grandi e piccoli agricoltori il completamento del ciclo produttivo. Sono oltre cinquecento gli ostacoli fisici che si frappongono all’accesso ai campi e ai mercati in Cisgiordania. Un ulteriore impedimento è dato dal Muro in costruzione – 703 chilometri di lunghezza, completati ormai per quasi il 60 per cento – che, una volta ultimato, renderà inaccessibili oltre un milione di alberi d’ulivo.

Già in passato, peraltro, gli agricoltori palestinesi hanno non di rado subito, durante la raccolta, furti, intimidazioni e attacchi sia da parte dei coloni che dell’esercito israeliano. Senza contare che fin dal 2000 migliaia di ulivi sono stati sradicati nei Territori per far posto proprio al Muro.

Nell’agosto del 2002 le autorità israeliane ribadirono all’inviato speciale dell’Onu per le questioni umanitarie, Catherine Bertini, il loro impegno nel garantire ai palestinesi il regolare svolgimento della raccolta. Ma nel 2004, altra annata di produzione abbondante, i militari di Tsahal (le forze di difesa d’Israele) impedirono spesso l’accesso alle piantagioni.

La Corte internazionale di giustizia stabilì allora l’obbligo per Israele di risarcire i danni causati agli agricoltori palestinesi e, laddove possibile, di restituire piantagioni e terreni sequestrati per far avanzare la costruzione del muro. Anche l’Alta Corte israeliana, nel giugno di quest’anno, ha ribadito che «la protezione della sicurezza e dei possedimenti delle popolazioni locali è tra i compiti principali che spettano alle autorità militari». Una posizione accolta favorevolmente dallo stesso ministro della Difesa israeliano, Amir Peretz.

Completata ormai la fase della raccolta, è l’accesso ai mercati il nodo che ora preoccupa maggiormente. Nel 2003 oltre 10 mila tonnellate di olio restarono invendute: la conseguenza fu il crollo del prezzo al di sotto del costo di produzione, con una grave perdita economica. Le Nazioni Unite sono per questo attivamente impegnate nel favorire il completamento del ciclo produttivo dell’olio di oliva. Dipende dall’esito positivo di questo processo il miglioramento delle condizioni di vita di decine di migliaia di famiglie nei Territori palestinesi.

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