Le carneficine che ogni giorno insanguinano l'Iraq, con il loro interminabile stillicidio di morti, ci parlano delle lotte sanguinarie che in quel martoriato Paese oppongono tra di loro i sunniti e gli sciiti. Benché i due termini siano ormai divenuti consueti, pochi di noi conoscono l'origine delle due denominazioni. Si tratta di due gruppi differenziatisi in seno alla grande comunità musulmana, per ragioni politiche, sin dagli albori dell'islam. Approfondiamo la questione.
Le tragiche vicende quotidiane che insanguinano l’Iraq col loro interminabile stillicidio di morti ammazzati ci parlano ogni giorno delle lotte sanguinarie che in quel martoriato Paese oppongono tra di loro i sunniti e gli sciiti.
Benché i due termini siano ormai divenuti comuni, pochi sono quelli che conoscono l’origine delle due denominazioni. Si tratta, in effetti, di due gruppi differenziatisi nella grande comunità islamica, la Umma.
Mentre nel cristianesimo le divisioni sono sorte soprattutto in seguito a controversie dogmatiche e dottrinali, all’interno dell’islam esse sono nate prevalentemente per cause politiche.
L’8 giugno 632, a Medina, muore Maometto (Muhammad). In quello stesso giorno, Abu Bakr, la cui figlia Aisha ha sposato il Profeta, viene eletto califfo (632-634), ossia suo vicario e successore.
Alla morte di Abu Bakr (23 agosto 634), diventa califfo Umar ibn al-Khattab (634-644), la cui figlia Hafsa aveva anch’ella sposato il Profeta. Umar ibn al-Khattab morirà assassinato nel 644 a Medina.
Anche il nuovo califfo, Uthman ibn Affan (644-656) morirà ucciso. Gli succederà Ali ibn Abi Talib, quarto e ultimo dei «califfi ben guidati» (i cosiddetti rashīdūn), cugino e genero di Maometto, del quale aveva sposato la figlia Fatima.
A lui si oppone, però, Muawiya, governatore della Siria, che alla fine esce vincitore dallo scontro. Ha così origine la perdurante divisione tra i membri della shī‘at Alī, ossia il partito o fazione di Ali, per l’appunto gli sciiti, e il resto della comunità, che si riconosce invece in Muawiya e che più tardi prenderà il nome di Ahl al-Sunna «gente della tradizione», da cui il nostro sunniti.
Il contrasto tra i due partiti risale però già alla morte di Maometto e verte proprio sulla questione della sua successione.
I discepoli di Ali, infatti, ritengono che il comando supremo della comunità islamica possa appartenere solo a un membro della Ahl al-Bayt, «gente della Casa», ossia a un discendente della famiglia del Profeta, e che pertanto Ali sia l’unico successore legittimo. Hanno però dovuto accettare la nomina dei primi tre califfi, eletti dal resto della comunità, che ritiene, al contrario, che qualsiasi fedele, e non necessariamente un discendente del Profeta, possa esercitare legittimamente l’autorità suprema.
Il contrasto pare ricomporsi con la nomina di Ali a califfo, ma l’opposizione di Muawiya, e la successiva uccisione di Ali nella moschea di Kufa, aggravano la situazione. Le speranze degli sciiti si spostano allora sui due figli di Ali, al-Hasan e al-Husayn. Entrambi muoiono però per mano di Muawiya o dei suoi seguaci.
Dopo la morte di al-Hasan, forse avvelenato, l’uccisione di al-Husayn e di tutti i suoi familiari e discepoli nella battaglia di Kerbela, nel 680, segna la rottura definitiva tra gli sciiti e i sunniti. Questi ultimi ritengono di essere rimasti fedeli alla Sunna, ossia alla «tradizione» del Profeta e si considerano quindi depositari dell’ortodossia islamica. Occorre comunque rilevare che poiché con Sunna si intende tutto il corpus di leggi e tradizioni riconducibili a Maometto, essa è seguita anche dagli sciiti. La differenza sostanziale sta nelle fonti di tale Sunna: i sunniti ne privilegiano alcune, gli sciiti altre.
Gli sciiti, che ritengono usurpatori i primi tre califfi, col tempo si sono differenziati rispetto ai sunniti anche su altre questioni, per lo più giuridiche. Essi ammettono, per esempio, la legittimità del matrimonio temporaneo e ritengono che dal Corano siano stati espunti alcuni passaggi che indicavano la successione di Ali a Maometto. Inoltre, essi ritengono che la guida della comunità non debba essere il califfo, ma l’imam che, appartenente alla famiglia di Ali, è dotato di potere sia temporale che spirituale.
La legittimità degli imam, tuttavia, non deriverebbe dalla loro discendenza carnale dal Profeta, ma dalla loro ereditarietà spirituale. Gli imam, traendo la loro autorità direttamente da Dio, sono i suoi rappresentanti infallibili sulla terra e i custodi della rivelazione. Fino al sesto discendente di Ali, Jafar al-Sadiq, morto nel 756, tutti gli sciiti sono d’accordo nel riconoscere ai discendenti del genero del Profeta quella qualità complessa, insieme spirituale e politica, che comporta la direzione della comunità musulmana, l’imamato.
Jafar al-Sadiq ha avuto due figli: Ismail e Musa al-Qasim. Il secondo, viene designato dal padre quale successore, a scapito dal primogenito Ismail, diseredato probabilmente per aver intrattenuto rapporti con elementi estremisti. I sostenitori di Ismail fanno considerano lui il settimo e ultimo imam. Per loro Ismail non sarebbe morto, ma solo nascosto. Un giorno tornerà quale Mahdi per riportare pace e giustizia in terra. Per questa ragione essi sono noti come ismailiti o settimani.
Per la maggioranza degli sciiti, invece, l’imamato è continuato in Musa al-Qasim e nei suoi discendenti. Il dodicesimo imam, Abu al-Qasim Muhammad, sarebbe anch’egli scomparso in condizioni misteriose verso l’873, entrando in uno stato di «occultamento». I suoi seguaci – gli imamiti o duodecimani, ne attendono il ritorno come Mahdi.
Gli ismailiti hanno dato origine a diverse sette scismatiche. Tra le più importanti si possono citare i drusi, diffusi soprattutto in Siria, Libano e Israele. Essi adorano la Divina Ragione incarnata in al-Hakim bi-Amr Allah, sesto califfo fatimide (996-1021); i nizariti, i cui affiliati dell’India, noti come khojas, riconoscono come loro imam l’agha khan, «principe signore»; e i mustaliani, avversari dei nizariti, diffusi in India, dove sono noti come bohoras.
Gli sciiti, che costituiscono il 10 per cento dei fedeli musulmani di tutto il mondo, sono tuttavia maggioritari in alcuni Paesi, come Libano, Iraq, Azerbaijan e Bahrain, e del tutto prevalenti in Iran, dove lo sciismo venne imposto dalla dinastia dei Safavidi (1501-1722).