Abbiamo già avuto modo di scriverlo e ci torneremo sopra tutte le volte che potremo: la situazione socio-sanitaria nei Territori palestinesi crea allarme e non accenna a migliorare. Ne soffrono soprattutto le frange più deboli della popolazione e, tra queste, i bambini.Ancora una volta diamo voce alle suore francescane elisabettine che dirigono il Baby Hospital di Betlemme. Nella struttura pediatrica, scrivono, sembra di essere tornati indietro di alcuni anni, a una situazione di vera emergenza. I genitori si presentano con i loro piccoli e sono disposti a fare lunghe ore di coda per ottenerne il ricovero. La malattie più comuni e la sofferenza innocente dei piccoli ospiti.
La situazione socio-sanitaria nei Territori palestinesi rimane allarmante. Diamo spazio alla testimonianza delle suore francescane elisabettine che dirigono il Baby Hospital di Betlemme. Nell’ultima lettera circolare agli amici scrivono che sembra di essere tornati indietro di alcuni anni, a una situazione di vera emergenza. Ecco uno stralcio del loro racconto.
L’ospedale è «strapieno» di bambini. Ci viene da paragonare la situazione attuale all’emergenza di anni fa, quando i bisogni urgenti di ricovero costringevano a mettere anche due bambini su un letto.
In questi giorni tutti i letti che si potevano aggiungere sono stati aggiunti, ma l’emergenza sembra non essere finita. Succede anche che ci siano delle famiglie che aspettano ore perché si liberi un posto, quando qualcuno viene dimesso. Se però i bambini vengono dimessi troppo presto, si è quasi certi che rientreranno dopo pochi giorni. Continuano ad arrivare anche da altri ospedali. Da Hebron, ad esempio, arrivano con l’ago cannula ancora inserito nella vena, perché i genitori, contro il parere del medico, li caricano di brutto su qualsiasi mezzo e li portano al Baby Hospital… Vogliono assolutamente che siano ricoverati qui, invece che altrove, ma anche questo ci crea problema, in quanto non permettono il ricovero di altri bambini che invece hanno urgente necessità e non hanno altre alternative. Il ritmo con cui avvengono le ammissioni dei bambini a noi sembra alquanto anomalo e pesante, ma abbiamo l’impressione che in altri ospedali palestinesi la situazione sia peggiore: anche tre bambini per letto.
È dall’inizio di novembre che al Baby Hospital si continua con questo ritmo e la stanchezza sul volto del personale medico e infermieristico è leggibile a distanza.
La principale ragione di questi ricoveri è l’Rsv (respiratory syncytial virus bronchiolitis), un virus che colpisce l’apparato respiratorio anche in forma grave. Molte sono, però, anche le malattie metaboliche, gli handicap e le malformazioni gravi, che spesso sono il frutto doloroso di matrimoni tra consanguinei e che fanno soffrire così tanto i bambini da farci stringere il cuore: piccolissime creature, a volte minuscole, che sembrano essere nate solo per soffrire. Si sentono quasi sperduti in questo mondo, si guardano attorno e gemono, cercano la mano di qualcuno e la tengono così stretta a volte che la loro forza ci stupisce.
Spesso, quando un bambino è in gravi condizioni, viene rifiutato da altri ospedali o cliniche specializzate, specie se i genitori non hanno denaro da versare; essi non hanno altro luogo a cui affidare la loro creatura se non al Baby Hospital, e sanno che qui riceverà cure e amore fino alla fine.
Dall’inizio di novembre fino ad oggi, qui al Baby Hospital sono morti 23 bambini, un dato che ci fa riflettere molto. Di solito questi sono dati che non fanno piacere a nessun manager o amministratore che cura l’immagine di un ospedale. In realtà, specie in questo ultimo periodo, ci troviamo a sperimentare che il nostro ospedale è non solo un luogo dove i bambini trovano cure e guarigione, ma anche un luogo dove i bambini vengono a morire, una sorta di «ultima spiaggia» specie per quelli affetti da malattie gravi e croniche, a volte rifiutati dalla loro stessa famiglia.