Un ebreo scampato alla tragedia della Shoah, Abraham Foxman, quasi quindici anni fa ebbe a dire: «Per più di cinquant'anni dopo l'Olocausto i sopravvissuti hanno dato testimonianza del male, della brutalità e della bestialità. Tocca a noi oggi, alla nostra generazione, portare una testimonianza di bontà, giacché ognuno di noi è la prova vivente che persino in quell'inferno chiamato Olocausto, vi fu la bontà, la gentilezza, nonché l'amore e la compassione». Il perché di questo libro è tutto qui.
Non tutti sanno che l’industriale tedesco Oskar Schindler – reso celebre dal film di Steven Spielberg Schindler’s List (1993) che racconta la sua attività nel salvare dall’Olocausto almeno 1.200 ebrei – è sepolto a Gerusalemme. Dal 1974, anno della morte, le sue spoglie riposano nel cimitero cattolico situato tra la Porta di Sion della città vecchia e la chiesetta di San Pietro in Gallicantu.
Sir Martin Gilbert, l’autore di questo libro, racconta che fu proprio vedendo il corteo funebre che accompagnava quel cristiano al campo santo che ebbe l’ispirazione di raccogliere materiale sui «giusti tra le nazioni», coloro cioè che, mettendo a rischio la propria vita, operarono per sottrarre gli ebrei ai carnefici durante il secondo conflitto mondiale.
All’inizio del 2002, ci informa Guilbert, erano 19 mila i non ebrei onorati come «giusti» al museo Yad Vashem di Gerusalemme, a cui una legge dello Stato di Israele attribuisce il compito di tributare il riconoscimento (ci vorrebbero 50 libri come questo, dice l’Autore, se volessimo dedicare una sola pagina a ciascuna di queste persone). Dunque 19 mila protagonisti di atti di solidarietà umana ed eroismo, rimasti ignoti ai più e appartenenti alle più svariate categorie sociali e professionali. Gilbert ne cita alcune a cui appartenevano coloro che salvarono dei bambini: infermiere e bambinaie, insegnanti e studenti, vicini e amici, impiegati e colleghi dei loro genitori, preti e suore, cattolici (tra cui religiosi francescani, benedettini e gesuiti), ortodossi, greci e russi, protestanti, battisti e luterani, come anche musulmani in Bosnia e Albania.
Certamente questo non è un volume indulgente, né il suo Autore è affetto da ingenuità. Scrive: «L’interesse per i Giusti non è universalmente accolto in modo favorevole. (…) Molti sopravvissuti reagiscono con disagio, e persino rabbia, quando pensano a quanta poca gente fosse pronta ad aiutarli. (…) Sei milioni di ebrei furono assassinati, ma decine di migliaia furono salvati. In quasi ogni caso di un ebreo salvato, più di un non ebreo fu coinvolto nell’atto di salvataggio, che in molti casi durò per diversi anni».
Il testo è suddiviso in 17 capitoli, che raccolgono le azioni dei giusti per Paesi o aree geografiche omogenee. Il capitolo 15 è riservato a Italia e Vaticano. Lo citiamo a mo’ d’esempio per dire che lo stile narrativo dell’opera ne fa un testo di impronta divulgativa e non scientifica: l’intento dell’Autore è di schiudere a un ampio pubblico le molte testimonianze degli «eroi sconosciuti dell’Olocausto».
L’Italia che Gilbert tratteggia in queste pagine prende le distanze dalla furia antisemita dei nazisti e non collabora o vi si oppone, non solo a livello di privati cittadini, ma anche di funzionari dei servizi diplomatici, di membri dell’esercito e d’ufficiali d’alto grado (come accadde in Francia e in Grecia nelle zone sottoposte all’amministrazione militare italiana dove gli ebrei trovarono scampo e soccorso).
Non manca qualche imprecisione terminologica. A pagina 362, ad esempio, si cita padre Rufino Nicacci. In accordo col vescovo, il benedettino Giuseppe Placido Nicolini – che resse la diocesi dal 1928 al ’73 -, Nicacci mise in salvo 300 donne e uomini ebrei, nascondendoli nei conventi maschili e femminili della zona e travestendoli, spesso, da frati e monache. Ebbene, fra Rufino viene indicato come «abate del monastero francescano» (sic!) di Assisi, invece che come il padre guardiano del (piccolo) convento di San Damiano (il suo vero ufficio).
Alla fine del 2001, annota Gilbert, erano 295 gli italiani (a volte famiglie intere) riconosciuti come «giusti tra le nazioni» dallo Yad Vashem.
L’opera di uno dei più illustri storici inglesi (biografo ufficiale di Winston Churchill) giunge a noi, nella versione italiana, a cinque anni dall’edizione originale in lingua inglese. Ha un pregio che la rende attualissima ai nostri occhi: l’ammonimento che in ogni tempo, anche nelle pieghe più buie della Storia, ognuno di noi è chiamato a tener desto in cuor suo il senso morale e il principio di responsabilità personale. Non c’è altra diga al dilagare del male.