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Naguib: «L’Occidente capisca i cristiani in Medio Oriente»

12/05/2007  |  Roma
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Nostra intervista a mons. Antonios Naguib, patriarca copto-cattolico di Alessandria d'Egitto. A capo di un piccolo popolo di 250 mila fedeli (su circa 9 milioni di credenti in Cristo), Naguib ci parla della situazione dei cristiani in Egitto, paragonandola a quella di «qualsiasi altra minoranza del mondo». «Dal punto di vista economico - dice - anche i cristiani hanno difficoltà a trovare lavoro, perché la situazione socio-economica del Paese è difficile. Sul versante politico, la partecipazione dei cristiani alla vita delle istituzioni è limitata. Dal punto di vista religioso, in generale godiamo di libertà di culto, ma subiamo delle limitazioni».


Per le religioni del mondo «lavorare per la pace significa in primo luogo chiedere la giustizia, poi lavorare per la giustizia. Per le Chiese, che hanno possibilità limitate in tutto il mondo, ciò significa chiedere ai laici di lavorare per la giustizia sociale e per la solidarietà con i fratelli che vivono nelle aree più povere del mondo e hanno bisogno di scuole, fabbriche, ospedali che possono essere avviati con l’aiuto dei cristiani dei Paesi ricchi».

Con queste parole il patriarca dei copti cattolici d’Alessandria d’Egitto, Antonios Naguib, si rivolgeva a fine aprile a scienziati e studiosi della Pontificia accademia delle scienze sociali raccolti in Vaticano. Il vescovo sottolineava che i pilastri della pace sono «giustizia, amore, preghiera e solidarietà internazionale». Intervenendo «come pastore e non come politico» al convegno su Carità e giustizia fra i popoli e le nazioni, il 72enne leader della Conferenza episcopale egiziana ha sottolineato quanto il dialogo interreligioso sia «indispensabile» in Medio Oriente.

A capo di un «piccolo gregge» di 250 mila cattolici di rito copto su circa 9 milioni di cristiani (poco più del 10 per cento dei 77 milioni di egiziani) Naguib parla della situazione dei cristiani in Egitto come quella di «qualsiasi altra minoranza del mondo». «Ci sono differenze interne, divisioni fra gruppi – ci ha spiegato in un’intervista a margine del convegno – ed esistono problemi rispetto alla maggioranza degli egiziani. Ad esempio, dal punto di vista economico i cristiani hanno difficoltà a trovare lavoro, perché la situazione socio-economica nel Paese è difficile, e questo è un tratto comune con i nostri compatrioti musulmani. Dal punto di vista politico, la partecipazione dei cristiani alla vita del Paese è limitata: sia perché rappresentano una minoranza, e molti pensano di non avere chance di essere eletti, sia perché la percentuale di elettori effettivi tradizionalmente non è alta, e ciascuno tende a votare i propri candidati. Dal punto di vista religioso, in generale non abbiamo problemi di libertà di culto: possiamo praticare le nostre attività e le nostre liturgie, ma ci sono limitazioni circa il costruire nuove chiese o riparare quelle esistenti. Speriamo di trovare presto delle soluzioni».

Come giudica, mons. Naguib, i recenti episodi di intolleranza in alcuni Paesi, ad esempio gli ultimi efferati omicidi perpetrati in Turchia?
Tali episodi si devono in parte al pregiudizio – sbagliato – che i cristiani in quanto tali sostengano l’Occidente nella sua aggressione ai Paesi musulmani. A causa dell’ignoranza diffusa, molti musulmani pensano che «cristiano» significhi «Occidente», anche per quanto riguarda le minoranze cristiane presenti nei nostri Paesi. Noi vorremmo ripetere ancora una volta che non è affatto vero! Condividiamo gli stessi problemi e le stesse preoccupazioni degli altri cittadini: paghiamo il prezzo di tali difficoltà dei nostri fratelli musulmani. Il primo problema è dunque un problema di ignoranza, di manipolazione della realtà e delle passioni delle persone. L’altro problema è la crescita dell’influenza di alcuni gruppi fanatici nei nostri Paesi. Il governo e il presidente Mubarak stanno cercando di frenarne la crescita e di mantenere un clima pacifico, ma ci sono persone che lavorano per creare un’atmosfera di contrapposizione e scontro: e quando si tocca la religione, si tocca la fibra più sensibile di un essere umano.

Pensa che questo Papa abbia impresso un’accelerazione al cammino verso l’unità, avviato con il concilio Vaticano II?
Credo che si tratti di due stili diversi, ma ugualmente tesi verso l’unità. Giovanni Paolo II ha fatto moltissimo per l’ecumenismo ed era molto popolare nei nostri Paesi: ha viaggiato ovunque, veniva spesso, convocava riunioni frequenti e in generale era molto amato. Benedetto XVI sta portando avanti il cammino iniziato da papa Wojtyla: in soli due anni, possiamo vedere tutti che non perde occasione per spronare verso l’unità.

L’Egitto è stato il primo Paese a firmare la pace con Israele. Qual è il suo ruolo oggi nel processo di pace arabo-israeliano?
L’Egitto ha sempre avuto un ruolo di primo piano e anche oggi il presidente Mubarak e il governo cercano di fare il possibile per mettere insieme i palestinesi, per ricondurre le parti al tavolo dei negoziati e anche per coinvolgere altri Paesi arabi nei negoziati, come si è visto di recente.

Perché secondo lei il presidente iraniano Ahmadinejad sembra voler provocare a tutti i costi uno scontro con la comunità internazionale sulla questione del nucleare?
Anche su questo, l’Egitto ha richiamato più volte la dirigenza iraniana alla saggezza. Ma io penso ci sia un forte elemento psicologico nel comportamento del presidente iraniano: credo che si senta sufficientemente forte per non temere alcuna minaccia e poter fare tutto ciò che vuole.

Che cosa possono fare i cristiani occidentali per incoraggiare la presenza dei cristiani in Medio Oriente?
In effetti il problema dell’esodo dei cristiani non riguarda solo la Terra Santa propriamente detta ma tutti i Paesi dell’area, anche nord-africani. Penso che il primo passo sia la comprensione: che l’Occidente comprenda in che situazione viviamo. E una volta compreso questo, che ciascuno faccia la sua parte per risolvere il conflitto arabo-israeliano, perché risolto quel problema la situazione migliorerà per tutti. E poi fare pressione sui propri governi perché a loro volta capiscano la situazione e aiutino concretamente lo sviluppo socio-economico dei nostri Paesi: costruendo infrastrutture, scuole, ospedali… Questo è molto importante perché le opere sono per tutti, non solo per i cristiani. E i bisogni sono grandi.

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