Ray Hanania è un editorialista palestinese che vive negli Stati Uniti. In un articolo rilanciato dal quotidiano saudita Arab News ha messo nero su bianco la domanda che rappresenta il succo della nuova terribile fase che il conflitto israelo-palestinese sta vivendo in queste ultime settimane: quando i palestinesi la smetteranno di scaricare su Israele ogni colpa e inizieranno ad assumersi le loro responsabilità?
Sembra davvero senza fine la tragedia di Gaza e Sderot. Per questo oggi vale la pena di ascoltare la voce coraggiosa di un palestinese controcorrente. Che su un giornale arabo ha scritto semplicemente cose di buon senso. In queste ore, purtroppo, già questa è una notizia. Ray Hanania è un editorialista palestinese che vive negli Stati Uniti. E in un articolo rilanciato dal quotidiano saudita Arab News ha messo nero su bianco la domanda che rappresenta il succo della nuova terribile fase che il conflitto sta vivendo in queste ultime settimane: quando i palestinesi la smetteranno di scaricare su Israele ogni colpa e inizieranno ad assumersi le loro responsabilità?
Non è solo una questione di giustizia verso Israele. Dovrebbe essere anche un discorso molto concreto di opportunismo: perché dovrebbe ormai essere evidente che più il conflitto si incarta nella violenza e nelle lotte interne, più la meta di uno Stato palestinese si allontana. Così – ad esempio – oggi stanno tornando a balenare idee strane, tipo quella che Israele dovrebbe spartirsi Gaza e la Cisgiordania con l’Egitto e la Giordania, riportando l’orologio della storia indietro a 40 anni fa (con Gerusalemme e i principali insediamenti, però, comunque in mano a Israele).
È quanto in Israele sostiene il leader del Likud Benjamin Netanyahu. E in Italia Il Foglio di Giuliano Ferrara si è subito accodato. Un’ipotesi priva di alcuna percorribilità concreta: perché mai l’Egitto oggi dovrebbe accollarsi un territorio che nessuno è in grado di controllare come Gaza? E la Giordania di re Abdallah può permettersi di mettere a rischio i suoi equilibri interni prendendosi in carico una mini-Cisgiordania autonoma ma interamente scaricata sulle sue spalle? Alla fine questa tesi serve solo a uno scopo: far passare l’idea che lo Stato palestinese ormai non è più una strada percorribile. Che è poi la stessa idea che, nei fatti, Netanyahu perseguì tra il 1996 e il 1999, quando da premier israeliano non fece altro che lavorare ai fianchi il processo di pace avviato a Oslo.
Tutto questo, però, oggi avviene grazie ai gruppi palestinesi che, con le loro lotte interne e la loro deriva violenta, lo rendono possibile. Come scrive giustamente Ray Hanania: «Scaricare ogni colpa su Israele e rifiutarsi di affrontare i nostri problemi non fa altro che rinforzare il muro psicologico che oggi imprigiona il popolo palestinese in un coma senza speranze».
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