Se, nella sempre più delicata questione dell'equilibrio tra lotta al terrorismo e salvaguardia dei diritti fondamentali, esiste una prima linea, di sicuro oggi uno dei suoi snodi cruciali è l'Alta Corte di giustizia israeliana. Non c'è infatti organismo giuridico al mondo che si sia trovato ad affrontare con la stessa continuità un problema così delicato. Oggi è preoccupante che l'Alta Corte israeliana sia sotto tiro da parte di forze politiche che, apertamente, parlano di limitarne i poteri. Ne danno conto due articoli pubblicati dai quotidiani The Jerusalem Post e Haaretz.
Se, nella sempre più delicata questione dell’equilibrio tra lotta al terrorismo e salvaguardia dei diritti fondamentali, esiste una prima linea, di sicuro oggi uno dei suoi snodi cruciali è l’Alta Corte di giustizia israeliana. Non c’è infatti organismo giuridico al mondo che si sia trovato ad affrontare con la stessa continuità un problema così delicato. E (va aggiunto) non c’è organismo giuridico che, in una situazione oggettivamente difficile come è quella israeliana, abbia dato risposte altrettanto coraggiose. Certo, non sempre quelle che le associazioni per la difesa dei diritti umani dei palestinesi avrebbero voluto. Ma sentenze come quelle che hanno imposto la modifica del tracciato del muro/barriera di separazione, affermato inequivocabilmente l’illegittimità della tortura, vietato l’uso della pratica di prendere un palestinese qualsiasi e costringerlo a bussare a una porta per poter compiere un arresto «in sicurezza», sono pagine importanti della storia del diritto non solo in Israele.
Per questo motivo è un segnale estremamente preoccupante il fatto che l’Alta Corte israeliana sia oggi sotto tiro da parte di forze politiche che, apertamente, parlano in Israele di limitarne i poteri. E a farsene portavoce è niente meno che il ministro della Giustizia Daniel Friedmann.
È uno scenario che racconta molto bene un articolo scritto dalla giurista israeliana Frances Raday per il Jerusalem Post. Si tratta di una risposta a un articolo durissimo contro l’ex presidente della Corte, Aharon Barak, pubblicato recentemente su The New Republic, la rivista newyorkese punto di riferimento per il mondo dei neocon. Raday difende dall’accusa di abuso di potere le sentenze dell’Alta Corte di giustizia israeliana. E denuncia i pericoli a cui potrebbe andare incontro la democrazia israeliana se questo organismo venisse indebolito.
E che questa sia un’ipotesi tutt’altro che immaginaria ce lo spiega un altro articolo tratto dal quotidiano israeliano Haaretz. Racconta l’ultima battaglia di Friedmann, quella sull’Intifada Law, la legge che a partire dallo scoppio della seconda Intifada aveva sospeso il diritto a un risarcimento economico per i palestinesi colpiti accidentalmente dall’esercito israeliano durante le sue operazioni. L’Alta Corte di giustizia ha dichiarato questo provvedimento illegittimo. Ma ora Friedmann vuole sfidarla riproponendolo. Nel suo best-seller Israele siamo noi (Rizzoli, 2007) Fiamma Nirenstein cita proprio questa sentenza dell’Alta Corte per dimostrare quanto Israele sia un Paese sensibile alla difesa dei diritti umani. Perché oggi non scrive almeno un articolo per dire che nello stesso Israele c’è anche una parte dell’opinione pubblica e un ministro della Giustizia che questo baluardo del diritto e della democrazia vorrrebbe metterlo a tacere?
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