La Banca Leumi, uno dei maggiori istituti di credito israeliani, ha deciso di devolvere 20 milioni di shekel (circa 3 milioni 600 mila euro) ai sopravvissuti dell'Olocausto. Non si tratta di una liberalità disinteressata, ma di un gesto di «buona volontà» per riparare a una pagina non proprio edificante della sua storia. Ne parla un articolo del quotidiano Haaretz. Ecco, in sintesi, come è andata...
Mentre la Knesset si prepara all’inizio delle votazioni (mercoledì) per il nuovo presidente israeliano che prenderà il posto del discusso Moshe Katsav (e la domanda principale è: Shimon Peres, candidato da Kadima, riuscirà una buona volta a vincere, battendo gli altri due candidati Rivlin e Avital?), c’è anche un’altra notizia, pubblicata da Haaretz, che vale la pena di non lasciar passare inosservata.
La Banca Leumi, una delle maggiori banche israeliane, ha deciso infatti di devolvere 20 milioni di shekel (circa 3 milioni 600 mila euro) ai sopravvissuti dell’Olocausto. Non si tratta di una liberalità disinteressata, ma di un gesto di «buona volontà» su una pagina non proprio edificante della sua storia.
Tutti ricordiamo, infatti, la storia delle banche svizzere che, alla fine della seconda guerra mondiale, incamerarono i soldi dei conti non reclamati subito dai parenti delle vittime della Shoah. Durante gli anni Novanta le organizzazioni ebraiche mondiali diedero vita a una campagna durissima contro la Svizzera, che si chiuse solo quando le banche elvetiche accettarono di pagare un risarcimento miliardario a un fondo per i sopravvissuti della Shoah.
Di questi soldi una parte è andata effettivamente ai sopravvissuti (che spesso se la passano davvero male), ma un’altra è stata al centro di durissime polemiche in Israele perché utilizzata dal World Jewish Congress per pagare maxi-parcelle agli avvocati e finanziare le proprie attività.
Ma il punto vero è che negli anni Trenta, nella Palestina Mandataria, esistevano già delle banche ebraiche. E molti ebrei tedeschi, intuendo la bufera che stava arrivando, avevano affidato loro i propri beni. Questo sia per ragioni nazionalistiche, sia pensando che sarebbe stato un titolo di favore per poter emigrare in caso di necessità. Per molti, purtroppo, non servì a nulla e morirono comunque nei lager.
Come si comportarono di fronte ai conti non reclamati le banche ebraiche, divenute dopo il 1948 banche israeliane? Nello stesso identico modo delle banche svizzere. A stabilirlo, nel 2004, è stata una commissione d’inchiesta della Knesset guidata proprio dalla deputata laburista Colette Avital (uno dei due sfidanti di Shimon Peres nella corsa alla presidenza d’Israele). Commissione istituita proprio a partire dalle difficoltà denunciate da alcuni parenti delle vittime, che avevano scoperto solo per caso l’esistenza di quei soldi. In tutto sono stati individuati circa 9 mila conti, di cui 2.500 della Banca Leumi: i nomi dei loro possessori sono stati pubblicati per mesi sul sito della Knesset, in modo da dare la possibilità a eventuali eredi finora rimasti ignari di rientrare in possesso dei propri beni.
Ora Banca Leumi cerca di correre ai ripari. Ma la cifra offerta è comunque inferiore alla penale che la Commissione Avital aveva richiesto. Un volto politicamente scorretto della Shoah. Che dopo quello che è successo negli anni Novanta forse meriterebbe un po’ più di attenzione.
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