Il governo egiziano torna sui suoi passi e rinvia la costruzione di un ponte, lungo 50 chilometri, che colleghi le sue coste con quelle dell'Arabia Saudita. La decisione ha causato un incidente diplomatico con i sauditi che invece hanno già aperto i cantieri. Le ragioni del ripensamento risiedono in ragioni di ordine ambientale, ma forse anche la sicurezza nazionale gioca un ruolo non secondario.
Il governo Mubarak ha ufficialmente smentito, nei giorni scorsi, l’avvio della costruzione di un ponte di 50 chilometri, che avrebbe dovuto collegare Sharm el Sheik con la cittadina di Ras Hamid, in Arabia Saudita. La decisione da parte del Cairo di ritardare a tempo indeterminato l’inizio dei lavori, dopo che il re saudita Abdullah aveva avviato i cantieri sulla costa della penisola araba, ha creato un piccolo incidente diplomatico tra i due esecutivi.
Il presidente Hosni Mubarak si era detto più volte favorevole all’idea di un ponte che collegasse le due sponde del Mar Rosso e che facilitasse il transito dei lavoratori egiziani nei Paesi del Golfo e dei numerosi pellegrini diretti in ogni periodo dell’anno alla Mecca; il rais si era mostrato ancor più convinto in seguito al naufragio del traghetto Al Salam 98, che provocò la morte di centinaia di passeggeri al largo delle coste egiziane.
Le ragioni di un improvviso dietro-front, a detta dei politologi egiziani, sono molteplici e vanno dall’impatto ambientale invasivo in una zona ad alto gradimento turistico e quindi nodale per la dissestata economia egiziana alla facilitazione del contrabbando di armi o al passaggio di terroristi, che facilmente si mischierebbero con i pellegrini.
La decisione dell’esecutivo di sospendere il progetto ha innescato aspre polemiche all’interno del Parlamento egiziano: le critiche più accese sono venute ancora una volta dai Fratelli Musulmani (gruppo del radicalismo islamico con 88 deputati), pronti nel rilevare come il governo ostacoli il pellegrinaggio verso i luoghi sacri all’islam, principale dovere di ogni buon musulmano; e nel denunciare come Mubarak, con il pretesto dei benefici economici del turismo, voglia salvaguardare l’artificiale vivibilità di paradisi turistici, «riservati a ricchi egiziani corrotti e a occidentali depravati».