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Al Campo dei Pastori: cristiani rischiano di perdere le loro case

18/06/2007  |  Betlemme
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Le giovani coppie della cooperativa edilizia di Jabal Aldick, nei dintorni di Betlemme, sono minacciate da un'ingiunzione di sgombero delle autorità militari israeliane, che dichiarano illegale il complesso di case recentemente costruito. Con l'aiuto del sindaco di Beit Sahour sono in corso ricorsi presso i tribunali israeliani. Ma se non avranno successo queste famiglie resteranno senzatetto. Solo perché sorgono «troppo» vicine a un insediamento israeliano.


Beit Sahour è il «campo dei pastori», la «casa di coloro che vegliano». Proprio i pastori furono i primi a ricevere dall’angelo l’annuncio della nascita di Gesù a Betlemme. Beit Sahour è oggi uno dei pochissimi villaggi dove gli abitanti sono a maggioranza cristiana. Secondo il sindaco, il cristiano Hani Al Hayek, su 16.500 abitanti, l’85 per cento è cristiano.  La maggior parte appartiene alla Chiesa ortodossa.

Iskandar Ghareeb era uno dei cristiani più in vista del villaggio.  Possedeva un grande appezzamento di terreno a nord del Campo dei pastori. Negli anni Settanta gli israeliani tentarono a più riprese di comprare quel terreno per costruirci un insediamento, ma Iskandar, morto circa un anno fa, aveva sempre rifiutato. Una volta gli presentarono perfino un assegno in bianco: scrivesse lui stesso la cifra. Anche in questa occasione nulla da fare. Invece di vendere il terreno agli israeliani, pensò di offrire il terreno a una cooperativa che voleva costruire delle case per le giovani coppie e famiglie di Beit Sahour. Oggi su quel terreno sorgono 36 case; la località si chiama Jabal Aldick.

Accanto a Jabal Aldik sorgono 12 palazzi di un’altra cooperativa, dove vivono quasi 90 famiglie cristiane. Si tratta della cooperativa dei giovani ortodossi di Beit Sahour, i quali sono riusciti a ottenere il terreno gratis dal patriarcato ortodosso.

Sembrerebbe una bella storia, ma non è così. Da  oltre quattro anni le famiglie che vivono nelle case di queste due cooperative, come del resto molte altre famiglie nei paraggi, vivono in una continua angoscia e ansia. Nel maggio 2002 sono arrivati dei soldati israeliani con una ordinanza: divieto di costruire nuove case e addirittura decreto di sgombero. Secondo loro la costruzione in quella zona sarebbe illegale. Il motivo vero della vicenda sta nel fatto che a meno di un chilometro a nord di Jabal Aldick, sorge l’insediamento israeliano Har Homa. Tra le due località corre il confine fra il territorio israeliano e quello palestinese (attualmente c’è come confine una strada e una triplice barriera di filo spinato, in attesa che anche qui venga eretto il muro di separazione).

I soldati israeliani sono tornati più volte, con gli stessi ordini. La maggior parte delle famiglie si è trovata in condizione di dover far ricorso in tribunale. Hani Al Hayed, sindaco di Beit Sahour, ha designato un avvocato per seguire la vicenda presso il tribunale israeliano. Nel febbraio scorso i soldati sono tornati con ordinanze di demolizione  per 17 famiglie. Anche in questo caso si è aperto l’iter in tribunale.

Fadi è uno dei capifamiglia colpiti da queste ordinanze di demolizione. Si è sposato l’anno scorso con Rania. Tutti e due sono di Beit Sahour e lavorano a Betlemme. Stanno costruendo una piccola casa a Jabal Aldick. Quando abbiamo chiesto a Fadi del suo stato di animo ci ha risposto: «Continuerò a costruire la mia casa. Questa è la mia terra e voglio vivere qui. Vivo nella paura, ma non ho soldi per comprare un altro pezzo di terreno». Linda, vedova con 2 maschi, assessore al comune di Beit Sahour, e abita in uno dei palazzi della cooperativa dei giovani ortodossi. Ci ha detto che la battaglia è dura. È quasi convinta che l’avvocato del comune non ce la farà: «Gli israeliani possono fare quello che vogliono, e nessuno li può fermare. A loro importa la loro sicurezza e niente altro. E sono convinti che compiendo soprusi la otterranno».

Jad Isaak, già direttore di Applied Research Institute (Areej), ci spiega che Israele, nel 1992, ha sottoscritto lo Statuto internazionale dei diritti sociali ed economici dell’ONU (1966). L’articolo 11 dello Statuto tratta appunto del diritto delle persone ad avere una propria casa. «Israele non ha mai rispettato le risoluzione dell’ONU. Perché lo dovrebbe fare ora?», è l’amaro commento.

Il sindaco di Beit Shaour, Fadi, Linda e molte altre centinaia di persone sperano che quest’incubo finisca presto. Chiedono per questa ragione il sostegno della comunità internazionale. Chiedono una sola cosa: «Lasciateci vivere nella nostra terra».

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