Gerusalemme, quale futuro?
Quarant’anni fa, nel giugno del 1967, la città vecchia di Gerusalemme vedeva entrare i soldati israeliani. Si compiva così l’ultima di una lunga serie di trasformazioni che hanno scandito la storia millenaria di questa città. Tante dominazioni l’hanno plasmata e resa quell’intreccio misterioso di fedi e identità che tutti ben conosciamo. Ma sappiamo bene anche come questo volto della città santa aspetti ancora di essere riconosciuto davvero come una potenzialità per il mondo intero.
A quarant’anni di distanza dai fatti del 1967, non possiamo non esprimere la nostra preoccupazione per il fatto che ormai si senta sempre meno parlare della questione di Gerusalemme. Anche quando timidamente si affaccia qualche ipotesi di negoziato per la pace in Medio Oriente, questo aspetto è continuamente rinviato. Quasi che si trattasse di un rebus insolubile. Si fa tanta poesia sulla Gerusalemme «città delle tre grandi religioni monoteiste». Ma la vera sfida oggi è riportare questo discorso con i piedi per terra. Prendere sul serio questo aspetto che rende unica al mondo questa città e tradurlo in una garanzia concreta di una tutela dell’identità e dei diritti di tutte le comunità che abitano tra le sue mura.
Si dice spesso che la pace verrà da Gerusalemme. È una frase, però, da intendere nel suo significato vero. Bisogna infatti toglierle quell’aurea un po’ magica che la circonda. Perché la pace da Gerusalemme verrà non per un’alchimia cabalistica o per un altrettanto improbabile effetto domino. Verrà solo quando le comunità diverse che qui vivono, cominceranno davvero a riconoscersi l’un l’altra. Con fatica. E a partire dalle scelte più quotidiane che scandiscono la vita di ogni città. Questo è il grande segno che il mondo aspetta ancora da Gerusalemme.
(Il dossier è nelle 16 pagine centrali di Terrasanta in versione cartacea)