Forse si potrebbe pensare che a prima vista del cristianesimo nelle terre a maggioranza islamica sia destinato a non rimanere nulla, se non testimonianze di intolleranza, disagio, difficoltà economiche e sociali. E forse con queste idee molti lettori potrebbero avvicinarsi a quest'ultimo lavoro di Michele Zanzucchi. Ma il tema che maggiormente emerge dalle pagine di questo libro è l'ascolto. Che si nutre della speranza proveniente dal Risorto. Una speranza che traspare dai volti di chi Zanzucchi ha avuto l'occasione di incontrare durante il suo percorrere Medio Oriente, Albania ed ex Jugoslavia.
Con quale immagine si può descrivere con più immediatezza la situazione di coloro che hanno la ventura di vivere la loro fede cristiana nelle terre del Corano? Quali termini possono richiamare con efficacia la situazione di una minoranza che nei numeri va assottigliandosi drasticamente in Paesi come Iraq, Palestina, Siria o altri nel Medio Oriente (senza dimenticare le europee Albania e Bosnia-Erzegovina) in cui la realtà politica sembra sempre più manifestare irrevocabilmente l’ostilità e l’inconciliabilità tra le due religioni più diffuse nel mondo?
Forse si potrebbe dire che a prima vista del cristianesimo nelle terre a maggioranza islamica sia destinato a non rimanere nulla, se non testimonianze di intolleranza, disagio, difficoltà economiche e sociali tali da indurre il «piccolo gregge» ad essere stritolato nella tenaglia del cosiddetto conflitto di civiltà e dissolversi del tutto in un futuro non lontano. E forse con queste idee molti lettori potrebbero avvicinarsi all’ultimo lavoro di Michele Zanzucchi – caporedattore del quindicinale Città Nuova – dal titolo Cristiani nelle terre del Corano.
Ma il tema che maggiormente emerge dalle pagine di questo libro è l’ascolto. Un ascolto che si nutre della speranza proveniente dal Risorto, di pace, giustizia, dialogo, perdono reciproco. Una speranza che si declina in compiti e vocazioni diverse nei volti di chi Zanzucchi ha avuto l’occasione di incontrare durante il suo viaggio in Medio Oriente, Albania ed ex Jugoslavia, uniti dal più grande compito di farsi ponte nelle terre più vessate dalla discordia.
Gli esempi sono numerosi e di grande varietà tipologica: c’è il francese in trasferta lavorativa a Tangeri che inventa di sana pianta un vivaio per calciatori in erba (in quale realtà la convivenza è più facile che nello sport?). C’è il discepolo di Chiara Lubich che riesce ad attrarre alle sue conferenze migliaia di islamici. C’è il politico di Fatah che ha perso una figlia dodicenne in un check-point improvvisato e che riesce a parlare di perdono con la stessa decisione con cui illustra i diritti (calpestati) del suo popolo. Ci sono esponenti di diverse famiglie religiose (domenicani, comboniani, gesuiti, francescani) impegnati, chi sul versante culturale, chi su quello pastorale, a far fiorire con realismo e fantasia i semi di comprensione reciproca e condivisione che possono condurre anche le moltitudini al desiderio del bene, ad un avvenire differente da quello che un occhio pessimista oserebbe intravedere nelle atmosfere conflittuali che affliggono questi territori. Un pregiudizio sempre più diffuso dice che le religioni sono causa di molte guerre: la penna agile di Zanzucchi dà voce in modo convincente a quanti già operano perché proprio nell’alveo del dialogo interreligioso nascano le ipotesi più efficaci per una pace giusta e duratura.