Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Insignificante Nazaret, germoglio del Salvatore

padre Eugenio Alliata
10 settembre 2007
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È praticamente ammesso da tutti che la città di Nazaret non sarebbe probabilmente entrata nella storia se non fosse stato per Gesù. Il luogo non è menzionato nell’Antico Testamento, né in Giuseppe Flavio (storico ebreo del primo secolo), né negli scritti dei rabbini (Mishna, Talmud, Midrashim). Una iscrizione rinvenuta nel 1962 negli scavi della sinagoga di Cesarea Marittima elenca tra le famiglie sacerdotali quella di Happizzez come residente di Nazaret, ma solo a partire dal II sec. d.C. La città di Nazaret fa invece la sua comparsa nel Nuovo Testamento (Vangeli e Atti degli Apostoli) sotto le forme di «Nazarèth» e «Nazarà  (la radice è nezer, «germoglio») rese per semplicità con «Nazaret» nella traduzione italiana della Cei.

A partire da queste difficoltà riguardanti il nome della città (ma anche l’aggettivo corrispondente), qualcuno è arrivato a ipotizzare che Nazaret non fosse che un abitato insignificante, se non affatto inesistente, all’epoca di Gesù. Una rapida ricerca su Internet mostra con evidenza quanto sia ampia la discussione a proposito di questo argomento.

Un tale dubbio è assente dalle fonti cristiane dei secoli IV-VI che precisano la sua posizione geografica e ne conoscono la memoria evangelica: «Nazaret. Da cui il Cristo fu chiamato Nazoreo, e anche noi – che siamo ora chiamati Cristiani – eravamo detti in antico Nazareni. Ancora oggi è (aggiunge san Girolamo: un villaggio) in Galilea di fronte a Legio, a circa 15 miglia verso oriente, presso il monte Tabor» (Eusebio di Cesarea, Onomasticon, 138-139). Lo stesso Eusebio nella Storia Ecclesiastica (III,20) cita Egesippo (autore del II sec. dC): «In quel tempo vivevano ancora i parenti del Salvatore». La situazione non doveva essere molto cambiata nel VI sec. quando il pellegrino Anonimo di Piacenza, fa risalire la gentilezza delle donne di Nazaret che vivevano nei pressi della Casa di Maria, trasformata in chiesa, al fatto che ritenessero la Madre di Gesù «loro parente».

Gli scavi condotti nell’area della basilica dell’Annunciazione, oltre a illustrare lo sviluppo del luogo sacro permettono allo studioso di gettare uno sguardo incondizionato anche all’ambiente umano nel quale la memoria evangelica si incastonava. Una buona parte del complesso reticolo di grotte ed avanzi murari rinvenuti sono stati lasciati scoperti e rimangono visibili fino ad oggi. Si possono riconoscere le stanze parzialmente scavate nella tenera roccia locale, secondo l’uso caratteristico dell’epoca antica e cisterne per immagazzinare l’acqua piovana, cosa veramente utile, essendo la fonte del villaggio a una decina di minuti di distanza. Qua e là si aprono le bocche rotonde dei silos, scavati a volte a diversi piani sovrapposti, per lo stoccaggio dei prodotti agricoli. Giusto a nord della grotta venerata è ricavato un pressoio per produrre il vino e cellieri per la sua conservazione. Alcune grotte sono servite come stalle per gli animali, a giudicare dalle mangiatoie scavate anch’esse nella roccia. Non mancano le vasche dove gli abitanti praticavano il bagno rituale, secondo le consuetudini ebraiche.

Certo l’uso di questi ambienti si è sviluppato per diversi secoli, come dimostra lo studio dei reperti, fra i quali però non mancano frammenti delle tipiche «lucerne erodiane» e dei vasi in pietra lavorata a tornio. Come si può negare che Nazaret esistesse nel primo secolo? Non era forse famosa come Gerusalemme e Betlemme, o fiorente come Cana e Cafarnao, per non parlare di Magdala… Eppure qualcosa di buono per tutti è venuto proprio di là.

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