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Il patriarca Sfeir: «Ai libanesi chiedo unità e fiducia»

11/09/2007  |  Roma
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Il patriarca Sfeir: «Ai libanesi chiedo unità e fiducia»
Il patriarca maronita Nasrallah Boutros Sfeir.

Il patriarca maronita Nasrallah Boutros Sfeir (86 anni) esorta i connazionali libanesi a «ritrovare la fiducia in se stessi» e a raggiungere un accordo sul nome del prossimo presidente della Repubblica, che secondo la Costituzione dev'essere cristiano, mentre sottolinea che la vittoria dell'esercito sui miliziani filo-alqaidisti nel campo palestinese di Nahr El-Bared è avvenuta grazie al fatto che «per la prima volta in trent'anni l'esercito è rimasto unito e solidale, cristiani e musulmani insieme». Di passaggio a Roma, dove ha incontrato il Papa e dove vedrà il presidente del Consiglio Romano Prodi e il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, il patriarca punta l'indice ancora una volta contro la Siria e l'Iran, che continuano a «sostenere con armi e con denaro» le attività dei miliziani di Hezbollah anziché favorire la «loro integrazione nel resto del Paese». Nostra intervista.


Il patriarca maronita Nasrallah Boutros Sfeir (86 anni) esorta i connazionali libanesi a «ritrovare la fiducia in se stessi» e a raggiungere un accordo sul nome del prossimo presidente della Repubblica, che secondo la Costituzione dev’essere cristiano, mentre sottolinea che la vittoria dell’esercito sui miliziani filo-alqaidisti nel campo palestinese di Nahr El-Bared è avvenuta grazie al fatto che «per la prima volta in trent’anni l’esercito è rimasto unito e solidale, cristiani e musulmani insieme». Di passaggio a Roma, dove ha incontrato il Papa e dove vedrà il presidente del Consiglio Romano Prodi e il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, il patriarca punta l’indice ancora una volta contro la Siria e l’Iran, che continuano a «sostenere con armi e con denaro» le attività dei miliziani di Hezbollah anziché favorire la «loro integrazione nel resto del Paese».

Eminenza, Lei ha incontrato in questi mesi la maggior parte dei leader politici, dal druso Walid Jumblatt all’ex generale cristiano Michel Aoun. Che idea si è fatto della situazione?
Il Libano è in difficoltà perché i siriani sono rimasti da noi per trent’anni, e ora che si sono ritirati i libanesi non si capiscono tra di loro. Alcuni sono per i siriani e altri contro, e il conflitto continua. Siamo alla vigilia delle elezioni del presidente e non riescono a mettersi d’accordo sul successore. E poi dovrebbe esserci necessariamente l’elezione di un nuovo governo, e anche su questo non riescono a trovare un accordo… E per le elezioni del Parlamento bisogna aspettare altri due anni. Tutto questi problemi hanno reso la situazione estremamente confusa, mentre l’esercito libanese è stato impegnato per 3 mesi e 5 giorni in una battaglia feroce contro delle formazioni chiamate Fatah al Islam, «la Conquista dell’Islam». E per quanto queste milizie siano state battute, hanno lasciato sul terreno 160 vittime e altri feriti, e questo ha creato ulteriore sofferenza al Paese. Ma c’è da notare anche la grande festa con cui i libanesi hanno celebrato il loro esercito per la vittoria su chi ha cercato di attaccare lo Stato libanese. L’esercito è stato festeggiato da tutti, senza distinzioni. 

In questo quadro, come giudica la candidatura del generale Michel Suleiman?

È un’opzione possibile come altre. Certamente il generale ha avuto il merito di tenere unito l’esercito si può dire per la prima volta in 30 anni: in passato l’esercito si lasciava dividere fra cristiani e musulmani, ma stavolta, forse come reazione alla confusione generale della classe politica, l’esercito è rimasto unito e solidale: ed è questo che ci ha fatto riportare la vittoria. 

Come giudica le mediazioni della Francia e dell’Italia?

Le delegazioni francese e italiane sono venute più di una volta, ed anche in questi giorni vogliono incontrarmi sia il presidente Prodi che il ministro D’Alema. L’Italia e la Francia sono presenti con la Unifil, insieme ad altri Paesi, e penso sia stato positivo che siano venuti varie volte per incoraggiare i soldati e per dire ancora una volta ai libanesi che sono solidali con loro.

Eminenza, che cosa ha detto al Papa?
L’ho incontrato durante l’udienza concessa giovedì scorso ai congressisti del Convegno sulla pastorale delle carceri in corso a Roma. Non c’è stato il tempo di entrare nei dettagli ma abbiamo scambiato qualche parola e gli ho detto che il Libano guarda con fiducia al Santo Padre e, come sappiamo bene, il Papa ha una grande simpatia per il Libano e per i libanesi in generale. Egli mi ha manifestato tutta la sua vicinanza e l’importanza che riveste il Libano, e ci ha incoraggiato affinché la pace e la concordia regnino nel Paese.

Gli Hezbollah continuano ad armarsi nonostante la Risoluzione dell’Onu 1701 che ha messo fine alla guerra con Israele.
Già, gli Hezbollah. Li ho conosciuti. Sono gente combattiva, combattenti ben addestrati alla lotta e che cercano d’imporsi. Perché se sono quello che sono c’è qualcuno che li sostiene con le armi e con il denaro: sono in tanti a sostenerli, ma soprattutto la Siria e l’Iran. Personalmente credo che finiranno per integrarsi al popolo libanese, e tutti continuano a dire che è meglio che siano integrati nel tessuto sociale e politico del Libano. Più avanti si divideranno i compiti fra Hezbollah, milizie ed esercito presenti nelle varie aree.

Non c’è il rischio che il Paese si ritrovi con due eserciti?
Certamente in tutti i Paesi del mondo non c’è che un unico esercito nazionale, e qualsiasi altra formazione deve aiutare l’esercito a compiere il suo mandato. Ma quando c’è un esercito e una milizia al suo fianco, e ciascuno ha le sue idee ed il suo territorio, non è certo un segno di vitalità per una nazione.

Chi può influire sulla Siria?
Gli Stati Uniti hanno la loro influenza e i Paesi arabi pure. E il Libano è sballottato, strattonato fra gli uni e gli altri. Ma alla fin fine è in primo luogo nell’interesse del Libano che tutto il mondo possa aiutare a ristabilire la situazione, e far regnare la pace in questo piccolo Paese.

Quali sono i suoi auspici per la Conferenza internazionale per la pace in Medio oriente, in programma a  novembre a Washington?
Auspico che questo incontro possa mettere fine alle dispute nella regione. Nessun Paese come il Libano e gli altri Paesi del Medio Oriente desiderano ardentemente veder regnare la pace nei loro Paesi e nel loro territorio. Il Libano, soprattutto: voi sapete bene quanto abbia subito le influenze esterne, tanto dei Paesi vicini quanto di quelli lontani. E purtroppo in questi ultimi trent’anni si può dire che almeno un milione di persone fra cristiani e musulmani (circa un quinto della popolazione, composta oggi da 4 milioni di persone – ndr) abbiano lasciato il Paese per andare all’estero: chi in Canada, chi negli Stati Uniti, o in Australia, o anche in altri Paesi arabi… Perché i nostri giovani riescono con fatica a strappare una laurea ma poi non trovano lavoro in Libano, e si sentono costretti ad andare a cercarlo fuori. Per questo tanti libanesi si trovano oggi nei Paesi arabi.

Quali sono le sue aspettative per il Libano?
Per il Libano i miei auspici sono che i libanesi ritrovino la fiducia in se stessi, nel loro Paese, e che chi è emigrato possa tornare, che il Libano sia prospero e che possa collaborare con i suoi vicini per un mondo migliore e un avvenire migliore.

Eminenza, si dice che lei sia stato minacciato di morte.
Qualcuno ha scritto che c’è chi cerca il modo di uccidermi, dopo l’attentato a un ministro. Ma alla fin fine, bisogna prendere le cose per quelle che sono: la vita e la morte sono nelle mani di Dio, e non di certo nelle mani degli uomini.

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