Ha fatto bene la Columbia University di New York a far parlare nel suo auditorium e in diretta tivù il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad? Il dibattito su questo tema scalda gli animi in Israele in questi giorni di vacanza per la festa di Sukkot. Rilanciamo oggi due letture opposte a questo proposito. La prima è tratta dal blog che Ed Koch, ex sindaco di New York e personalità di spicco della comunità ebraica della Grande Mela, tiene sul sito del Jerusalem Post. Opposto, e favorevole, il giudizio - espresso su Yedioth Ahronot - da Avi Weinberg, segretario generale dei giornalisti israeliani.
Ha fatto bene la Columbia University di New York a far parlare nel suo auditorium e in diretta tivù il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad? È il dibattito su questo tema a scaldare gli animi in Israele in questi giorni di vacanza per la festa di Sukkot. Rilanciamo oggi due letture opposte a questo proposito.
La prima è tratta dal blog che Ed Koch, per dodici anni sindaco di New York e personalità di spicco della comunità ebraica della Grande Mela, tiene sul sito del Jerusalem Post. Contrario all’intervento di Ahmadinejad, Koch sottolinea come il vero perdente dell’operazione sia stato il rettore della Columbia, Lee C. Bollinger, anche lui ebreo. Perché è schizofrenico – sostiene Koch – invitare Ahmadinejad in nome della libertà di espressione e poi accoglierlo trattandolo a male parole per giustificarsi davanti a chi ha criticato l’invito.
«Alla fin dei conti – scrive Koch – è stato un fiasco per l’America, un abbaglio per Bollinger e un colpo di teatro per Ahmadinejad. Perché il suo obiettivo non era rispondere a Bollinger, agli studenti della Columbia o agli americani che lo guardavano in tivù. Il suo obiettivo era parlare, sopra le loro teste, al mondo islamico e ai suoi terroristi, per mostrare loro come si sistema il leone della Columbia nella sua stessa tana».
Opposto il giudizio – espresso su Yedioth Ahronot – da Avi Weinberg, segretario generale dei giornalisti israeliani, convinto che la vicenda Ahmadinejad sia stato un test importante sulla libertà di espressione, oggi – a suo avviso – messa in discussione anche da giornalisti e accademici, che invece dovrebbero essere i suoi paladini. «È stato importante che molte persone abbiano protestato contro la visita di Ahmadinejad a New York, ed è stato importante vedere le persone che alla Columbia University non gli hanno permesso di schivare le domande più dure. Non meno importante, però, è stato il fatto che lo abbiano lasciato parlare».
Clicca qui per leggere l’articolo di Ed Koch
Clicca qui per leggere l’articolo di Yedioth Ahronot