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Dialogo tra il Papa e re Abdallah d’Arabia

Manuela Borraccino
7 novembre 2007
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Dialogo tra il Papa e re Abdallah d’Arabia
Città del Vaticano, 6 novembre 2007. Benedetto XVI riceve re Abdallah d'Arabia. È la prima visita di un sovrano saudita alla Santa Sede.

In Vaticano ne sono convinti: prima o poi i sauditi dovranno allentare la morsa sulla libertà religiosa, il mondo diventa ogni giorno più piccolo. Intanto c'è convergenza fra Santa Sede e Arabia Saudita sulla «necessità di trovare una giusta soluzione»  al conflitto arabo-israeliano e sulla «collaborazione fra cristiani, musulmani ed ebrei». All'indomani dello storico incontro fra Benedetto XVI e il monarca saudita Abdallah Bin Abdulaziz Al Saud, fonti vaticane sottolineano come la promozione dei valori religiosi per il raggiungimento della pace e la tutela della famiglia abbia fatto da collante nel dialogo fra il capo della Chiesa cattolica e il Custode delle due sacre moschee di Medina e La Mecca.


In Vaticano ne sono convinti: prima o poi i sauditi dovranno allentare la morsa sulla libertà religiosa, il mondo diventa ogni giorno più piccolo. Ma intanto si registra la convergenza fra Santa Sede e Arabia Saudita sulla «necessità di trovare una giusta soluzione» – come recita un comunicato della sala stampa vaticana – al conflitto arabo-israeliano e sulla «collaborazione fra cristiani, musulmani ed ebrei», in un mondo minacciato dal terrorismo da una parte e dall’ateismo militante dall’altra.

All’indomani dello storico incontro fra Benedetto XVI e il monarca saudita Abdallah Bin Abdulaziz Al Saud, fonti vaticane sottolineano come la promozione dei valori religiosi per il raggiungimento della pace e la tutela della famiglia abbia fatto da collante nel dialogo fra il capo della Chiesa cattolica e il Custode delle due sacre moschee di Medina e La Mecca. Una collaborazione incoraggiata anche dalla recente lettera dei 138 saggi musulmani al Papa sul tema dell’amore a Dio e al prossimo: così nell’incontro «si sono ribaditi l’impegno in favore del dialogo interculturale ed interreligioso, finalizzato alla pacifica e fruttuosa convivenza tra uomini e popoli» e il valore della collaborazione tra le tre fedi abramitiche «per la promozione della pace, della giustizia e dei valori spirituali e morali, specialmente a sostegno della famiglia».

La visita del re Abdallah, che era già stato ricevuto come viceministro della Difesa da Giovanni Paolo II, nel maggio 1999, era stata preparata dal ministro degli Esteri saudita, Saud Al Faisal, lo scorso 6 settembre dal Papa a Castel Gandolfo: un incontro che già era stato salutato come un segno «dell’attenzione» che l’Arabia Saudita riserva alla Santa Sede in assenza di relazioni diplomatiche anche se «questo non vuol dire che abbiano cambiato posizione sulla libertà religiosa». Non a caso di libertà religiosa il comunicato diramato a fine visita non parla: ma al monarca è stato accennato il tema della «presenza positiva e operosa dei cristiani» residenti in Arabia ovvero, spiegano in Vaticano, del ruolo che i cristiani intendono svolgere «per il bene della Nazione».

L’intera penisola arabica è considerata «territorio sacro» e per questo è proibito costruirvi chiese. Nel regno dell’islam wahabita tutte le religioni diverse sono bandite dalla vita pubblica e chi le professa privatamente lo fa a proprio rischio e pericolo, a volte incorrendo nei blitz della Muttawa, la potentissima polizia religiosa.

Proprio per questo viene considerato un segnale di apertura il primo processo aperto alcuni giorni fa davanti all’Alta Corte di Riyadh contro due agenti della Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio, denominazione ufficiale della Muttawa, accusati di aver ucciso a bastonate in carcere un uomo, arrestato perché in casa deteneva alcolici. Un fatto nuovo, considerato che l’Arabia Saudita è finita anche quest’anno nel mirino del Dipartimento di Stato Usa, che nel Rapporto sulla Libertà religiosa nel mondo la cita fra i 12 Paesi «di particolare preoccupazione» (insieme a Cina, Eritrea, Iran, Iraq, Myanmar, Corea del Nord, Pakistan, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam). Perché negli impianti petroliferi sauditi lavorano circa due milioni di immigrati cristiani, in gran parte filippini, seguiti da indiani e cingalesi. Negli ultimi anni le autorità saudite hanno chiuso un occhio sulla presenza fra di loro di alcuni sacerdoti. Ma da qui ad autorizzare la costruzione di chiese ce ne corre. In Vaticano constatano che prima o poi in qualche modo dovranno aprirsi, ma sanno che la casa regnante ha i propri nemici interni: non solo le rivalità fra i clan della sterminata famiglia reale, ma anche il giudizio degli ulema, le supreme autorità religiose custodi dell’ortodossia islamica sunnita.

Secondo alcuni osservatori la chiave di volta della visita va vista piuttosto nelle comuni aspettative della Santa Sede e del regno saudita per il successo della Conferenza per la pace in Medio Oriente in programma ad Annapolis a fine novembre e che l’Arabia Saudita minaccia di boicottare se non dovessero essere affrontati i nodi chiave del conflitto. La Santa Sede ha elogiato il tentativo saudita «di coinvolgere tutti i Paesi arabi per la stabilizzazione del Medio Oriente». E, in un momento delicatissimo per il futuro della regione, i vertici della Segreteria di Stato hanno sottolineato con re Abdullah il ruolo cruciale che la monarchia saudita può svolgere con la propria partecipazione al vertice, proprio mentre esso stenta a decollare e nei giorni in cui il sovrano è impegnato in un tour nelle capitali europee (dopo la visita a Londra e Roma, toccherà a Germania e Turchia ospitare il monarca) affinché Israele accetti le condizioni poste dalla Lega Araba per la normalizzazione dei rapporti fra lo Stato ebraico e i Paesi confinanti: ritiro ai confini precedenti al 1967, una «soluzione giusta» per i profughi palestinesi e per Gerusalemme.

L’Arabia Saudita è rimasta insieme all’Oman l’unico Paese della Penisola arabica a non avere relazioni diplomatiche col Vaticano: il Kuwait aveva fatto da apripista negli anni Sessanta del Novecento, poi è stata la volta dello Yemen, del Bahrein, del Qatar nel 2005 e, il 31 maggio scorso, degli Emirati arabi uniti. Si sa che per il Vaticano la normalizzazione dei rapporti non è un obiettivo in sé ma piuttosto uno strumento per la difesa dei diritti fondamentali dei cristiani.

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