Pochi chilometri a sudest di Betlemme, proseguendo sulla strada che passa accanto al palazzo-fortezza dell’Erodion, si raggiunge la località biblica di Tecoa, nota come la patria del profeta Amos (Am 1,1). Visitatori, studiosi e pellegrini cristiani in Terra Santa ne fecero mèta frequente dei loro viaggi, non solamente per l’associazione con il profeta ma anche a motivo della vicinanza della famosa Laura di San Caritone, frequentata dai monaci almeno fino al XIII secolo. Sappiamo che all’arrivo dei crociati gli abitanti cristiani della regione avevano fatto alleanza coi loro correligionari ma, dopo la partenza di questi, furono costretti ad abbandonare il posto ai margini del deserto, per concentrarsi in luoghi più sicuri.
In situ, tra le rovine, fu visto ed ammirato per secoli un reperto straordinario: un enorme blocco di pietra rosata, di forma ottagonale, scavato nel mezzo in forma di croce, ed elegantemente decorato con simboli cristiani. Sono queste le caratteristiche di un certo numero di fonti battesimali antichi della regione palestinese, concepiti per il battesimo ad immersione di adulti, secondo il rito bizantino. Le rovine comprendevano i resti di due edifici sacri che diverse relazioni di viaggio identificano uno con il memoriale di Amos profeta, l’altro con una chiesa dedicata san Nicola. Il fonte battesimale apparteneva a quest’ultima chiesa, i cui resti dilapidati (muro con abside, frammenti di mosaici, pezzi di colonne sparse qua e là) si stendevano immediatamente a sud.
Ma a un certo punto (durante i primi anni Novanta del secolo scorso) il fonte non fu più visto. Una notte, approfittando forse di qualcuna delle frequenti chiusure imposte sui territori occupati dall’esercito israeliano dopo la rivolta palestinese, persone interessate al facile, ma illecito, guadagno che può procurare il furto di antichità, certamente con l’aiuto di potenti mezzi meccanici (il peso totale del blocco è di diverse tonnellate), strapparono a Tecoa il suo prezioso reperto.
Una relazione scritta da Jerry Levin, volontario dei Christian Peacemaker Teams tra i palestinesi di Hebron, ci informa sugli ulteriori sviluppi di questa storia che sembra si sia conclusa, per fortuna, in modo positivo, in quanto il fonte è ritornato a Tecoa, anche se non esattamente al suo posto originario. Sarebbero stati, dopo qualche tempo, gli abitanti stessi del villaggio musulmano ad improvvisarsi investigatori e a mettersi alla ricerca del loro prezioso retaggio culturale (cristiano, in questo caso). Il reperto è stato così individuato in un campo di Beit Jala, ai limiti del territorio palestinese, nascosto sotto uno spesso strato di foglie e di rami secchi ma, fortunatamente, ancora in attesa di prendere il volo verso chissà quali lontani lidi. Il peso, la singolarità e la fama del manufatto possono aver avuto un certo ruolo nell’impedirne una rapida collocazione sul mercato antiquario. Tanti altri oggetti antichi, vasi, monete, sculture, iscrizioni, gioielli…, purtroppo non hanno la medesima fortuna e vengono di spersi attraverso il commercio clandestino, favorito anche dall’instabilità politica della regione.
Chi vuole vedere, oggi, il famoso fonte battesimale di Tecoa deve recarsi presso il municipio (baladiyeh) del vicino villaggio arabo, che ha ereditato il nome stesso della città biblica (Tuqu‘). Lo dovrebbe trovare lì, in attesa di un posto nel costruendo museo archeologico locale, la cui istituzione è rimandata, chiaramente, a tempi migliori.