L’accensione delle luci della festa, che segnano il passaggio dal tempo quotidiano a quello sacro significando la presenza divina fra coloro che la celebrano, è un gesto che nella tradizione ebraica compete in maniera particolare alla donna nell’ambito della liturgia domestica, la quale riveste un ruolo primario rispetto a quella sinagogale sia nella celebrazione del Sabato che di quasi tutte le festività annuali. In tale contesto la donna non solo è la garante di tutta la liturgia domestica, ma anche colei che in maniera particolare pone un segno di sacralità per distinguere il «tempo di Dio» da quello della storia dell’uomo, un tempo considerato «anticipo» di quello messianico. Per comprendere la profondità di tale gesto è necessario considerare alcune affermazioni tradizionali riguardo al ruolo della donna in rapporto all’uomo che, no nostante l’orizzonte per molti aspetti «maschilista» nel quale si sono fissate – famosa è l’affermazione per cui «dieci misure di chiacchiere scesero sul mondo: nove furono prese dalle donne» (Talmud Babilonese, Qiddushin, 49b) – sorprendono per il modo in cui comprendono l’importanza della presenza «femminile».
La tradizione rabbinica infatti insegna che «un uomo che non ha moglie vive senza gioia, senza benedizione, senza bene», questo è il parere di Rabbi Tanchum a nome di Rabbi Chanilai (Talmud Babilonese, Jevamot, 62b), condiviso da Rabbi Chelbò che ribadisce: «Un uomo deve sempre onorare sua moglie perché le benedizioni discendono sulla casa di un uomo solo per merito di sua moglie» (Talmud Babilonese, Bava Matzi’a’, 59a). Per questo c’è chi può affermare che «le donne hanno più discernimento» (Talmud Babilonese, Niddah, 45b), «le donne hanno più fede degli uomini» (Sifrè al libro dei Numeri, 133), fino a riconoscere che «Israele fu liberato dall’Egitto per i meriti delle donne» (Talmud Babilonese, Sotah, 11b). Inoltre c’è chi sostiene che «la Torah (l’insegnamento rivelato al Sinai) è personificata come donna, figlia, sposa» (Talmud Babilonese, Jevamot, 63b), ed è stata data prima alle donne perché senza di loro la vita ebraica non sarebbe possibile… Ecco perché il libro dei Proverbi celebra la «donna di valore» (cfr Pr 31,10-31) paragonandola ad una «corona» per il marito e definendola un «bene» per lui in rapporto al «favore del Signore» (cfr Pr 12,4 e 18,22).
Ciò che in maniera particolare si riconosce alla donna sono i segni di «sacralità» legati ai suoi ritmi biologici che le permettono di poter essere madre: sono infatti caratterizzati dalla presenza visibile del sangue (mestruazioni e parto), elemento vitale che appartiene a Dio, quindi segno di trascendenza che rimanda ad una dimensione «altra». Per questo a lei è richiesta l’osservanza dei precetti in maniera diversificata rispetto all’uomo, come ben ricordato da Milka Ventura: «La donna è legata a un suo tempo, il tempo del corpo, che non è lineare ma ciclico; un tempo “lunare”, come il calendario ebraico. Ci sono Maestri che spiegano questo diverso trattamento, sostenendo che la donna non ha bisogno di tante “regole” imposte dall’esterno perché per sua stessa natura ha già una “regola” interiore» (M. Ventura, Postfazione, in G. Dreifuss, Maschio e femmina li creò. L’amore e i suoi simboli nelle scritture ebraiche, Giuntina, Firenze 1996, p. 131). «La metà di Adamo, la metà del cielo», colei che garantisce l’ebraicità della discendenza e la testimonianza dei valori tradizionali.