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Libano, un presidente o il baratro

19/11/2007  |  Milano
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Libano, un presidente o il baratro
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, a colloquio con il patriarca maronita card. Pierre Nasrallah Sfeir.

Dopo i tre rinvii dei mesi scorsi, il Parlamento libanese è chiamato in questi giorni a eleggere il nuovo presidente della Repubblica che dovrà subentrare al filo-siriano Emile Lahud, il cui mandato scade il 24 novembre. Le profonde divisioni che contrappongono la maggioranza parlamentare antisiriana e l'opposizione guidata da Hezbollah non hanno però consentito, finora, di trovare un accordo su un candidato di consenso. Il rischio, ha avvertito anche il patriarca maronita Nasrallah Sfeir, è che una mancata intesa possa sfociare in una nuova, drammatica guerra civile.


A dodici mesi dall’inizio di una grave crisi politica, il Libano è ancora alla ricerca della coesione e della serenità necessaria per allentare le sue tensioni interne. Dopo i tre rinvii dei mesi scorsi, il Parlamento libanese è chiamato a eleggere, mercoledì prossimo, il nuovo presidente della Repubblica che dovrà subentrare al filo-siriano Emile Lahud, il cui mandato scade il 24 novembre. Le profonde divisioni che contrappongono la maggioranza parlamentare antisiriana e l’opposizione guidata da Hezbollah non hanno però consentito, finora, di trovare un accordo su un candidato di consenso, che possa cioè raggiungere il quorum previsto dei due terzi dei voti dell’assemblea legislativa.

Il rischio, ha avvertito anche il patriarca maronita Nasrallah Sfeir, è che una mancata intesa possa sfociare in una nuova, drammatica guerra civile. Non a caso la diplomazia internazionale negli ultimi giorni ha moltiplicato gli sforzi per venire a capo di una situazione che peraltro grava, oltre che sul futuro del Paese dei cedri, sull’intero scenario mediorientale. Giovedì scorso è giunto a Beirut il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, per cercare di sbloccare lo stallo. «Il prossimo presidente del Libano deve rappresentare tutti i libanesi», ha sottolineato Ban, che ha anche ribadito che le elezioni per il nuovo capo dello Stato si dovranno svolgere senza ulteriori rinvii e secondo le modalità dettate dalla Costituzione. Durante il fine settimana era in Libano anche il ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema, mentre il suo collega francese, Bernard Kouchner, già a Beirut nelle settimane scorse, vi ha fatto ritorno nella serata di ieri.

Proprio Kouchner era tra quanti auspicavano che il cardinal Sfeir suggerisse una lista di nomi tra i quali il Parlamento possa poi scegliere il nuovo presidente, che, in base agli equilibri politico-confessionali libanesi, deve essere un maronita. Sfeir non avrebbe voluto restare coinvolto in un gioco di nomi, anche a causa delle divisioni interne alle stesse formazioni politiche maronite, che vedono l’ex presidente Amin Gemayel e il leader delle Forze libanesi Samir Geagea nella maggioranza antisiriana che sostiene il governo del premier Fuad Siniora, e, dall’altra parte della barricata, l’ex comandante dell’esercito Michel Aoun, schierato con l’opposizione e alleato al movimento sciita Hezbollah. Pressato da più parti, Sfeir ha però infine stilato una lista che contiene sei o sette nominativi, tra i quali quelli di Butros Harb e Nassib Lahud, i due candidati della maggioranza, e di Michel Aoun, il favorito dell’opposizione. Venerdì la lista è stata consegnata al presidente del Parlamento, Nabih Berri.

Difficile comunque capire se questo passo potrà, da solo, portare a un accordo. Da parte sua, infatti, il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, sostiene che la soluzione della crisi può venire soltanto da «elezioni anticipate trasparenti e senza trucchetti», che diano vita a un nuovo Parlamento e, solo dopo, a un nuovo presidente della Repubblica, in grado di «unire i libanesi» e che non sia «parte del progetto americano».

Dichiarazioni che sembrano annunciare il prolungamento del braccio di ferro con la maggioranza iniziato il 12 novembre del 2006, quando i ministri di Hezbollah e Amal si dimisero dal governo Siniora, dando il via alla crisi. Dopo quelle dimissioni, il ministro dell’Industria Pierre Gemayel veniva ucciso a Beirut. Era il 24 novembre, soltanto il primo atto di una drammatica scia di sangue che ha sconvolto i già precari equilibri libanesi. Mercoledì prossimo, a un anno esatto da quell’assassinio, il Libano avrebbe l’occasione per provare a voltare pagina, eleggendo il nuovo capo dello Stato con il consenso di tutti. Ma le tensioni, le accuse e i sospetti reciproci sembrano non far presagire una svolta imminente nell’incandescente scenario libanese.

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