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Un angolo di Vienna nel cuore di Gerusalemme

04/12/2007  |  Gerusalemme
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Un angolo di Vienna nel cuore di Gerusalemme

Uno degli aspetti più affascinanti di Gerusalemme è l'esistenza, al suo interno, di diversi «mondi» o «isole». Camminando per le strade della città, sia nella parte vecchia che in quella nuova, vi può capitare di notare diverse insegne di centri studi o di case per pellegrini che storicamente sono stati voluti dalle diverse nazioni cristiane europee, a cavallo tra i due secoli scorsi, per l'accoglienza dei propri pellegrini in Terra Santa. Alcuni sono decisamente caratteristici. Come l'Ospizio austriaco, che siamo andati a visitare.


Uno degli aspetti più affascinanti di Gerusalemme è l’esistenza, al suo interno, di diversi «mondi» o «isole». Camminando per le strade della città, sia nella parte vecchia che in quella nuova, vi può capitare di notare diverse insegne: Lutheran Hostel, Austrian Hospice, Johanniter Hospiz, Casa Nova, Armenian Hospice, Swedish Theological Institute, Swedish Christian Study Center e così via.

In alcuni di questi casi si tratta di guest house, case per pellegrini o visitatori. Definirli semplicemente alberghi sarebbe riduttivo. Storicamente si tratta di strutture che le diverse nazioni cristiane europee hanno voluto fondare in Terra Santa per l’accoglienza dei propri pellegrini. A cavallo tra il XIX e il XX secolo, quando l’Impero Ottomano era ormai in fase di sfaldamento, ogni potenza volle avere una sua presenza a Gerusalemme. Nacque quindi quella che a ragione potrebbe definirsi una «guerra architettonica». Alcuni di questi edifici hanno invece origini più remote.Oggi queste strutture sono aperte all’accoglienza di visitatori provenienti da ogni dove. Esse, tuttavia, diventano molto spesso il punto di riferimento per coloro che hanno la stessa nazionalità della casa in questione. Così gli austriaci (o german speakers che dir si voglia) si ritroveranno all’Ospizio austriaco e gli svedesi all’Istituto svedese.

Per me la cosa più interessante, e direi anche divertente, di questi posti è l’impronta, il carattere specifico che hanno mantenuto nel corso degli anni, un carattere legato al Paese di provenienza della fondazione. Questo carattere è spesso rintracciabile anche nei piccoli particolari. Un esempio chiarirà il concetto.

In città vecchia, all’angolo tra la strada che conduce dalla seconda alla terza stazione della Via Dolorosa, si trova l’ingresso di un grande palazzo. Dall’esterno si intravedono cime di alberi. A dire il vero l’ingresso esterno è proprio sporco. Una scritta su una pietra, spaccata, ci avverte che siamo di fronte all’Österreichische Hospiz zur Heiligen Familie, all’Ospizio austriaco della Sacra Famiglia. In alto, sul tetto dell’edificio, sventolano due bandiere, quella austriaca e quella vaticana. Basta suonare il piccolo campanello e dopo qualche secondo la porta si aprirà. I ragazzotti che generalmente stazionano sui gradini mangiando frutta secca vi lasceranno passare senza alcun problema. Chiusa la porta alle vostre spalle l’atmosfera è decisamente diversa. Le spesse mura impediscono al forte chiasso esterno di penetrare. Tutto il piccolo atrio è con pietre a vista. In fondo alla prima scalinata una nicchia con una statua di Maria. Una bella statua in stile medievale ricorda le opere di Arnolfio di Cambio. Riproduce una statua che si trova a Mariazell, il principale santuario mariano d’Austria. Salendo le scale si notano diversi tavolini in ferro battuto con il piano fatto di maioliche. Niente sedie di plastica. Tante le piante e i fiori. Tutto è pulito e in ordine. Anche qui la Terra Santa mi si conferma come luogo ricco di contrasti.
Fondato nel 1857, l’Ospizio austriaco della Sacra Famiglia fu ufficialmente aperto nel 1863. Fino al 1918 l’Ospizio servì anche come residenza per il console d’Austria in Gerusalemme, che ebbe funzione di protettore per i cattolici e per gli ebrei ashkenaziti. Nel 1939 l’Ospizio fu confiscato dagli inglesi in quanto «proprietà tedesca». La casa stessa fu utilizzata come campo di internamento per preti austriaci, tedeschi e italiani e membri di varie congregazioni religiose. Dopo il 1948 fu convertito dalle autorità giordane in ospedale. Solo nel 1985 l’ospedale fu chiuso e l’edificio restituito all’Austria. Nel 1987 l’edificio fu completamente rinnovato e un anno dopo riaperto ai pellegrini.

L’ultima volta che sono passato dall’Ospizio austriaco ero con un amico volontario austriaco, anzi tirolese, come ama affermare lui con una punta di orgoglio. Non sapeva che ero stato lì già in altre occasioni e quindi ha pensato bene di darmi il benvenuto nella sua amata terra una volta varcata la soglia. Siamo quindi andati nella caffetteria. Lo stile è marcatamente viennese ed è come entrare in una vera e propria Wiener Kaffeehaus. Alle pareti quadri di imperatori e principesse lontani nel tempo. Sulla parete accanto alla macchina per il caffè un bel crocifisso secentesco. Almeno qui non hanno ceduto alle volgari lampade bianche a basso consumo. La luce è calda. La musica, quasi impercettibile, è classica. Il pavimento insieme ai tavolini e le sedie imbottite di trapunte rosso scuro sono un po’ demodé. La cosa non dispiace affatto. Non c’è alcuna ansia di «rinnovare» il locale. Del resto chi viene qui cerca esattamente questo: uscire per un po’ dall’ambiente di Gerusalemme per catapultarsi in un altro mondo. L’atmosfera è davvero rilassante. Mi chiedo quanti posti come questo ci siano al di fuori dell’Austria.

Il menù è in tedesco e inglese, i prezzi in euro. Siamo in Europa, nella vecchia cara Europa! Lo shekel israeliano qui non ha diritto di cittadinanza. Chi volesse leggere una rivista o un quotidiano austriaci li troverà liberamente a disposizione vicino la cassa. I camerieri sono giovani austriaci o tedeschi. Chi è ormai avvezzo ai modi di fare bruschi e scorbutici dei camerieri o delle commesse israeliane, qui ritrova con gioia le buone maniere. I ragazzi spendono qui l’anno di servizio civile. Le ragazze semplicemente fanno volontariato. I lavoratori arabi pare siano davvero pochi. La presenza dei volontari, di tutte le età, è fondamentale per l’Ospizio e il suo sito internet vi dedica una sezione speciale.

Torniamo al menù. Cosa si deve prendere in un posto come questo? Ingenuamente chiedo se hanno dello strudel alle mele. La ragazza mi risponde di sì, meravigliata che io abbia potuto mettere in dubbio una tale certezza! E da bere? Cappuccino, please. «Cappuccino» è forse l’unica parola italiana che tutti riescono a pronunciare bene in Israele. Però qui è più sofisticato che in Italia. Non tazza, ma bicchiere alto di vetro. Non schiuma, ma panna montata con una spolverata di cannella. Bene!

Dopo essere stati serviti il mio amico tira fuori una sigaretta e l’accende. Lo guardo un po’ sbigottito. Intuisce l’obiezione e mi anticipa dicendomi: «Ehi, qui siamo in Austria non in Italia!». In Austria è permesso fumare nei locali. Alzo le mani in segno di resa.

L’Austrian Hospice non è solo la caffetteria. È prima di tutto una grande guest house come dicevo all’inizio, ma anche un centro culturale e un punto di incontro. Una volta al mese viene organizzato un concerto di musica, generalmente classica, ma anche di altro genere. Sia gli artisti, che la maggior parte di coloro che vanno ad ascoltare questi concerti sono ebrei. La sala che ospita i concerti è molto bella, con una volta a stella completamente adornata con scene tratte dalla Bibbia e anche dalle stazioni della vicina Via Crucis. Vi garantisco che l’atmosfera è davvero unica: davanti ai vostri occhi è facile avere degli uomini che indossano la kippah (il tradizionale copricapo ebraico), ma basta alzare un po’ lo sguardo per vedere dipinto un ostensorio col Santissimo Sacramento circondato da un festone con versetti del Vangelo. È risaputo che gli israeliani apprezzano moltissimo la musica classica, ma mi piace pensare che anche a loro non dispiaccia affatto quest’atmosfera mitteleuropea. Alla fine del concerto il rettore della casa, un giovane prete sui trent’anni, saluta tutti i suoi ospiti che van via non senza aver fatto un salto sul terrazzo per godere della magnifica vista sulla città.

È ormai buio e devo rientrare a casa. Il mio amico resterà lì ancora qualche ora a godersi questo ambiente incantevole. Scendo le scale. Apro la porta. I giovani sono ancora lì a mangiar semini. Il muezzin chiama i fedeli alla preghiera. Le donne beduine vendono le loro ultime verdure. I soldati israeliani si dirigono verso la Porta di Damasco per la solita ronda serale. Musica pop a tutto volume. Sono tornato a Gerusalemme, la «Gerusalemme d’oro, di rame e di luce», come dice la famosa canzone.

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