L'arcivescovo Michael L. Fitzgerald, attuale nunzio apostolico in Egitto e rappresentante del Papa presso la Lega araba, fino al 2006 ha presieduto il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. In quella veste ha raggiunto una certezza: il dialogo tra religioni e popoli diversi darà frutto a suo tempo. Soprattutto se non si avrà la pretesa di risultati immediati, se si saprà costruire nella pazienza e nella perseveranza, se si avrà la capacità di preparare il terreno e stabilire amicizie. Il messaggio è contenuto nel suo ultimo libro, Dialogo interreligioso, recentemente edito dalla San Paolo.
Fructum dabit. È il motto dell’arcivescovo Michael L. Fitzgerald, attuale nunzio apostolico in Egitto e delegato presso l’Organizzazione della Lega degli Stati Arabi, fino al 2006 presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. «Darà frutto» a suo tempo, secondo la certezza di Fitzgerald, il dialogo tra religioni e popoli diversi, se non si avrà la pretesa di risultati immediati, se si saprà costruire nella pazienza e nella perseveranza, se si avrà la capacità di preparare il terreno e stabilire amicizie.
E forse qualche frutto l’arcivescovo potrà offrirlo ai lettori del suo libro, Dialogo interreligioso, edito dalla San Paolo nel 2007, strumento articolato che tocca a 360 gradi molte delle problematiche connesse al rapporto tra fedi e tradizioni diverse e che funge da specchio piuttosto fedele della lucidità e della concretezza della Chiesa anche in questo delicato e attualissimo campo d’azione.
L’organizzazione del libro conduce il lettore in primo luogo attraverso i fondamenti cristiani del dialogo, dal punto di vista teologico e pastorale.
La seconda parte è quasi interamente dedicata all’islam: vi si definiscono punti di incontro e di distanza tra cattolici e musulmani, tanto dal punto di vista teologico che nei riflessi sociali (con un attento sguardo alla situazione europea).
La terza e ultima parte, che si rivolge alle altre grandi religioni mondiali (buddismo, induismo ed ebraismo in testa) e che presenta l’operato dei principali enti ecclesiastici preposti al dialogo, ivi compreso il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, è forse la più rispondente al temperamento fortemente propositivo dell’arcivescovo.
Significativo infatti è il capitolo che chiude il libro, consistente in una breve e intensa presentazione di tre grandi «profeti» e precursori cristiani del dialogo: Louis Massignon (in rapporto all’islam), Jules Monchanin (per l’induismo) e Thomas Merton (per il buddismo). Queste grandi, talvolta controverse figure esemplificano la posizione di chi ama profondamente Cristo e la Chiesa ed è proprio per questo capace di ascolto e quindi di stima, se non propriamente amore, anche per la ricchezza di altre tradizioni e specialmente per i relativi aderenti.
Due coraggiosi tratti caratterizzano l’insegnamento dell’arcivescovo: il dialogo interreligioso trova la sua utilità per gli uomini in vista della ricerca del vero Dio prima ancora che per una pacifica convivenza globale; in secondo luogo, e per converso, il rischio del fondamentalismo ha i suoi anticorpi in un atteggiamento autenticamente religioso, che può tuttavia mancare tanto in campo islamico, per fare l’esempio dell’alterità sentita come più minacciosa, quanto nello stesso cristianesimo.