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Immigrazione ebraica. Israele, andata e ritorno

16/04/2008  |  Milano
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Immigrazione ebraica. Israele, andata e ritorno
Gerusalemme. Gruppo di ebrei al Muro Occidentale. (foto. M. Gottardo)

La Jewish Agency for Israel, agenzia che agevola il flusso di immigrazione ebraica dalla diaspora verso Israele, rileva che tra gennaio e marzo 2008 «solo» 1.207 persone hanno deciso eleggere lo Stato ebraico come propria patria adottiva. Il 12 per cento in meno dell'anno precedente. Solo gli immigrati ebrei dalla Bielorussia sarebbero in aumento (+ 30 per cento). Il resto dei Paesi dell'ex-Blocco sovietico segna un saldo negativo.Così varie istituzioni israeliane si interrogano su come incentivare gli arrivi e fronteggiare la delusione di chi, messo piede nella terra dei suoi padri, poi ritorna sui suoi passi.


Vacilla la aliyah (ovvero l’immigrazione degli ebrei della diaspora verso Israele)? Lo Stato ebraico cerca soluzioni innovative per far continuare gli arrivi. Secondo la Jewish Agency for Israel, l’agenzia che agevola e monitora il flusso di immigrazione ebraica verso Israele, tra gennaio e marzo 2008 «solo» 1.207 persone hanno deciso eleggere Israele come propria patria adottiva. Il 12 per cento in meno dell’anno precedente. Solo gli immigrati ebrei dalla Bielorussia sarebbero in aumento (+ 30 per cento). Il resto dei Paesi dell’ex-Blocco sovietico, tradizionale serbatoio di nuova immigrazione in Israele, segna un saldo negativo: dall’Ucraina e dalla Moldova, da cui si registrano comunque gli arrivi più numerosi (334), si segnala un calo del 14 per cento rispetto al 2007. Dalla Russia il calo è del 6 per cento, dalla Georgia del 35 per cento, dall’Asia Centrale del 24 per cento, dall’Uzbekistan dell’8 per cento; e si potrebbe continuare.

A settembre, un reportage del quotidiano israeliano Haaretz da Mosca dimostrava che i giovani ebrei-russi non aspirano più a partire per Israele. Oggi preferiscono rimanere a vivere dove sono nati. E lo scorso febbraio, Lev Leviev, miliardario russo-israeliano, ha puntato il dito contro l’insuccesso delle politiche di integrazione della massa di immigrati russi che sbarcano a Tel Aviv. Secondo Leviev, molti di loro, vedendo fallire il proprio progetto migratorio, decidono di tornare in patria.

Israele, che in 60 anni di storia ha assorbito con successo oltre 3 milioni di immigrati, è alla ricerca delle strategie più efficaci per invertire questa tendenza negativa. Una di queste è il confronto con altre nazioni di forte immigrazione, come il Canada, che devono la propria crescita a politiche che favoriscono un costante afflusso di immigrati selezionati.

Così a marzo una delegazione dell’International Metropolis Project, un think tank sull’immigrazione finanziato dal governo canadese con esperti di oltre 40 nazioni, ha visitato Israele per partecipare a un confronto su «Immigrazione, integrazione e identità», presso il Ruppin Academic Center di Emek Hefer, città a Nord di Tel Aviv.

«Noi canadesi accogliamo immigrati selezionandoli secondo le loro specifiche competenze – spiega Howard Duncan, responsabile dell’International Metropolis Project – mentre in Israele il principio è quello della Legge del ritorno (che garantisce la cittadinanza a ogni ebreo che decida di immigrare – ndr). Ma oggi la vera sfida, sia per Israele che per il Canada, è di convincere gli immigrati a rimanere». La globalizzazione infatti porta molti immigrati a spostarsi, cercando condizioni di vita sempre migliori. «E noi canadesi abbiamo visto in questi anni un grande numero di persone arrivare ma anche andarsene», conclude Duncan.

«Nonostante l’alto numero di cittadini che lascia il Paese – ha spiegato Moshe Semyonov, del dipartimento di Sociologia dell’Università di Tel Aviv -, Israele è impegnato ad assorbire nuovi immigrati. E io considero questo Paese come un esempio di successo in fatto di accoglienza degli immigrati. Qui, nel giro di una generazione, generalmente gli immigrati diventano parte del sistema».

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