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Le rose di Shavu’ot e il sapore della Torah

Elena Lea Bartolini
20 maggio 2008
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Sette settimane dopo Pasqua cade la festa di Shavu‘ot che fa memoria del dono della Torah, l’insegnamento divino rivelato al Sinai. Un canto tradizionale ricorda l’importanza di questo evento attribuendo alla Torah le seguenti parole: «Per mezzo mio regneranno sovrani e nobili, stando alla mia destra avranno lunga vita, alla mia sinistra riceveranno ricchezza grande da Dio».

Tale dono, infatti, svela il motivo per cui il popolo di Israele è stato liberato dall’Egitto: divenire un «regno di sacerdoti e una nazione santa» per testimoniare l’unicità di JHWH fra le genti (cfr Es 19,6). Ci si prepara a riceverlo contando i giorni a partire da Pasqua, e la tradizione insegna che tale operazione sottolinea l’importanza dell’evento, dell’attesa di un dono divino che riguarda sia il popolo di Israele che l’umanità: secondo il commento rabbinico all’Esodo, che cerca di spiegare perché «tutto il popolo» ai piedi del Sinai «vedeva le voci» (cfr Es 20,18), la voce del Signore si trasformava in sette suoni e, da questi, in settanta lingue affinché tutti i popoli potessero comprendere (cfr Esodo Rabbah V).

Per sottolineare l’importanza del rapporto fra Israele e le genti durante questa festa si legge il libro di Rut, la moabita che attraverso il suo rapporto con la suocera Naomi incontra il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe e si inserisce a pieno titolo nella dinastia davidica, costituendo ancora oggi un particolare esempio di accoglienza dei precetti nel segno dell’amore.

Tradizionalmente Shavu‘ot è una festa legata anche all’offerta delle primizie, gesto col quale si riconosce la signoria di Dio sulla creazione e si favorisce la ridistribuzione dei beni: tale offerta infatti non era destinata solo ai sacerdoti e ai leviti ma anche a tutti i poveri di Israele. Presso i sotterranei del Tempio vi era una stanza nella quale si poteva accedere solo uno alla volta, nel mezzo era deposto un cesto: c’era chi entrava per deporre un’offerta e chi invece per prelevare ciò di cui aveva bisogno, e nessuno veniva mai a sapere chi aveva dato e chi aveva preso. Qualcosa del genere esiste ancora oggi presso alcune associazioni ebraiche, che usano far passare fra i presenti un sacchetto per le offerte dentro cui si infila una mano chiusa e la si ritrae chiusa: chi può dà a favore di chi invece ha bisogno di prelevare senza essere umiliato davanti agli altri.

Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme non è stato più possibile celebrare l’offerta delle primizie e, nel corso dei secoli, si è consolidata l’abitudine di portare presso le sinagoghe fiori, erbe e verdure per sostituire simbolicamente le offerte di un tempo. Tutto ciò si è poi limitato all’offerta dei fiori, in particolare delle rose, con cui le sinagoghe vengono tutt’ora addobbate per la festa, che si caratterizza per le veglie di studio della Torah e per i piatti a base di latticini e miele: la tradizione insegna infatti che la Torah ha il sapore di «latte e miele», e accoglierla mettendola subito in pratica nel deserto (cfr. Es 24,7) ha implicato il rispetto immediato delle regole alimentari che, probabilmente, sono state osservate mangiando quel giorno questi alimenti. Fra le ricette tipiche figurano pertanto pietanze guarnite con decorazioni che ricordano il percorso dalla schiavitù alla libertà passando per il Sinai, le quali non possono essere gustate se prima non si ripercorrono con i bambini le tappe dell’itinerario «consegnando» loro anche in questo modo la tradizione.

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