La notizia del giorno in Medio Oriente è il comunicato con cui i governi di Israele e Siria hanno ufficializzato l'esistenza di un negoziato di pace, condotto con la mediazione della Turchia. Dovrebbe essere una buona notizia. Come pure la Conferenza sugli investimenti economici nei Territori in corso in queste stesse ore a Betlemme. Tre articoli tratti dai giornali di oggi ci aiutano a capire perché sono entrambi fatti su cui sarebbe meglio andare molto cauti.
La notizia del giorno in Medio Oriente è il comunicato con cui i governi di Israele e Siria hanno ufficializzato l’esistenza di un negoziato di pace, condotto con la mediazione della Turchia. Dovrebbe essere una buona notizia. Come pure la Conferenza sugli investimenti economici nei Territori in corso in queste stesse ore a Betlemme. Tre articoli tratti dai giornali di oggi ci aiutano a capire perché sono entrambi fatti su cui sarebbe meglio andare molto cauti.
Innanzi tutto la questione dei negoziati con la Siria. Su un punto oggi tutti i giornali israeliani sono d’accordo: non è un caso che questo annuncio giunga proprio nel momento in cui il primo ministro Ehud Olmert si trova per l’ennesima volta nell’occhio del ciclone per un’accusa di corruzione. Dunque c’è il sospetto che dietro il rilancio diplomatico ci siano ragioni di politica interna.
Ma anche al di là di tutto questo, nel negoziato con la Siria ci sono due ordini di problemi. Innanzi tutto, come ricorda Akiva Eldar su Haaretz, c’è la questione del rapporto tra le trattative con Damasco e quelle con i palestinesi. Il passato insegna che ogni volta che si è cercato di privilegiare una delle due strade rispetto all’altra i risultati sono stati pessimi. La questione siriana non si risolve semplicemente ritirandosi dalle alture del Golan: l’unica strada plausibile è un accordo con tutti i vicini arabi sull’assetto complessivo del Medio Oriente.
Più scettico ancora Shai Bazak che su Yediot Ahronot sostiene che gli israeliani che abitano sul Golan possono dormire sonni tranquilli. Perché né il governo Olmert né il presidente siriano Assad hanno alcun interesse ad arrivare a un accordo di pace. Interessa solo dare al mondo un segnale di buona volontà. Assad ne ha bisogno per alleggerire la pressione sul Tribunale internazionale per la morte di Rafiq Hariri in Libano. Israele ne ha bisogno per far calare la tensione al confine con la Siria. Che lo spessore di questa iniziativa sia tutto da verificare lo conferma anche il fatto che su questa «svolta» oggi non si trova alcun commento sui quotidiani arabi. Segno che lo scetticismo non è di casa solo in Israele.
Quanto invece alla Conferenza di Betlemme l’agenzia palestinese Maan rilancia un documento del Palestinian NGO Network che avanza forti dubbi sul fatto di tenere un’iniziativa del genere nella situazione attuale. «Promuovere illusioni sull’esistenza di un processo di pace significativo che porterebbe con sé condizioni migliori e un ambiente favorevole che contribuirà a migliorare le performance economiche – si legge nel testo – servirà solo a rendere più profonda la frustrazione provata dal popolo palestinese, che sul terreno continua a essere testimone di minacce, ostacoli agli spostamenti, chiusure e assedi». In fondo il discorso è lo stesso della trattative con la Siria: senza iniziative politiche forti si rischia di produrre solo una montagna di parole.
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